Roma – Di potenziali rischi connessi all’uso del cellulare, in particolare dei nuovi dispositivi dotati di fotocamera, Punto Informatico ha parlato con Fulvio Sarzana di S. Ippolito , avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie ( www.lidis.it ), consulente presso il Ministero della Giustizia e componente del comitato di redazione del codice internet e minori. Secondo l’avvocato sono due le tipologie di rischio: il primo legato alla salute , in particolar modo quella dei minori, e il secondo quello connesso ad un uso illecito del telefonino.
Quello degli ipotizzati rischi derivanti da un utilizzo indiscriminato del cellulare è un argomento annoso che è stato affrontato in Italia in diverse fasi. “A maggio ad esempio – ricorda Sarzana di S. Ippolito – il Consiglio di Stato ha dato torto ad alcune associazioni di consumatori che avevano presentato ricorso al Tar del Lazio perché il Ministero delle Comunicazioni non avrebbe previsto, per la procedura di autorizzazione al commercio dei telefoni cellulari, una preventiva certificazione sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto”.
In quel caso le associazioni si erano rivolte al Tar perché la salute degli utenti “sarebbe compromessa dall’uso dei telefonini per via dei rischi di esposizione alle onde elettromagnetiche”. Il Tar aveva bocciato il ricorso, sostenendo che “la realtà dell’ampia commercializzazione dei cellulari dimostra in modo inoppugnabile che la preoccupazione sulle conseguenze negative del loro uso incontrollato viene a trovarsi in contrasto con la libertà dei soggetti che si pretende di tutelare, i quali, nonostante siano stati resi edotti dai mezzi di comunicazione di massa sui rischi connessi all’uso, non riescono a privarsi di uno strumento che sembra essere diventato un imprescindibile accessorio personale”.
“Il Consiglio di Stato – sottolinea Sarzana di S. Ippolito – ha, quindi, confermato questo orientamento: in assenza di strumenti certi per dichiarare la dannosità dell’uso del cellulare non si può affermare che esista un danno alla salute accertato”.
Diversa invece la questione relativa agli illeciti che possono scaturire dall’uso dei cellulari, in particolare di quelli di ultima generazione, dotati di fotocamera e altri accessori. “L’uso illecito – spiega il consulente del Ministero – può determinare innanzitutto violazioni di diritti di terzi. Pensiamo al caso che è tuttora dibattuto in diversi tribunali, circa una complessa controversia che vede un grande operatore di telefonia mobile ed una importante agenzia giornalistica chiamate a rispondere della violazione dei diritti di esclusiva che diverse squadre di calcio hanno ceduto a nuovi operatori di telecomunicazioni attraverso i telefonini di terza generazione (UMTS, ndr.). In particolare, i presunti autori dell’illecito inviavano sui cellulari dotati di fotocamera digitale i goal della squadra preferita”.
“Il caso preso in esame dai tribunali – spiega Sarzana di S. Ippolito – è un esempio paradigmatico del possibile contrasto tra la libertà ed il diritto di cronaca che riguardano la collettività e i diritti di sfruttamento delle immagini che sono oggetto di un diritto di esclusiva. Un diritto di sfruttamento all’immagine che può anche riguardare un singolo individuo e, quindi, una violazione del diritto alla propria identità personale “.
Sarzana di S. Ippolito ricorda anche come le modifiche al nuovo codice della privacy abbiano fatto sorgere un vero e proprio diritto soggettivo alla privacy che si estrinseca in primo luogo nel divieto di utilizzare immagini senza il consenso della persona ritratta. “Se ricordate bene – spiega – in uno spot di qualche tempo fa che commercializzava un dispositivo mobile in grado di inviare fotografie ad altri terminali, si vedevano alcuni giovani che si inoltravano MMS ritraendosi ad una festa in compagnia di giovani ragazze. L’idea in sé semplice e di sicuro effetto si potrebbe tuttavia scontrare con la ben più crudele realtà dei fatti: fra le persone ritratte, infatti, potrebbe esserci qualcuno che non ha intenzione di far sapere a terzi dove si trova in quel preciso momento e con chi”.
Su questo il Garante per la privacy come si ricorderà ha stabilito che “è lecito l’ uso personale degli MMS, quando le immagini vengono inviate a parenti o amici, per motivi di svago o culturali, per esempio. E’ vietato assolutamente, senza il consenso dell’interessato, quando vengono spediti in via sistematica ad una pluralità di destinatari”.
“Il consenso per gli MMS – sottolinea quindi Sarzana di S. Ippolito – diventa insomma obbligatorio, così come lo è per il trattamento dei dati personali. Il diritto di cronaca viene fatto salvo: i giornalisti non devono chiedere il consenso ma devono rispettare le norme di sempre, dalla tutela dei minori alla legge sul diritto d’autore alle norme che difendono la dignità e l’onorabilità delle persone, leggi che valgono anche per chi usa gli MMS in modo sistematico e ad ampia diffusione”.
Un discorso analogo secondo Sarzana di S. Ippolito va fatto anche per Internet. I messaggini di foto o di filmati, infatti, possono essere scaricati sul Web, e da lì raggiungere chiunque. “Le sanzioni – sottolinea – vanno dalle multe più o meno salate alle denunce penali per i recidivi. Quanto ai fornitori di servizi telefonici, sono obbligati a tutelare la libertà e la segretezza delle comunicazioni mentre i gestori di telefonia mobile che offrono la possibilità a chi non possiede un cellulare per MMS di leggere questi messaggini su Internet, devono conservarli per il tempo necessario alla lettura e poi distruggerli”.
Non accade la stessa cosa all’estero dove, talvolta, i fotocellulari vengono censurati in altro modo.
“In altri paesi – spiega Sarzana di S. Ippolito – la problematica dell’uso illecito dei telefonini in grado di trasmettere immagini, foto o filmati ha riguardato non solo i diritti di sfruttamento di eventi sportivi ovvero la tutela della identità personale ma fatti forse ancor più gravi, se rapportati allo stile e all’etica degli affari vigente in determinati paesi”.
“Qualche tempo fa – ricorda – è scoppiata una polemica negli Stati Uniti, poiché analisti di diverse organizzazioni hanno denunciato un utilizzo illecito delle immagini di proprietà aziendale da parte degli impiegati arrivando a consigliare le organizzazioni di pretendere dai venditori, nel caso di telefonino aziendale, l’ oscuramento della funzionalità di videocamera”.
“In altri casi – continua – si è provveduto addirittura ad oscurare previamente la lente della fotocamera o a pretendere dai dipendenti, all’atto dell’ingresso in determinate zone, la disattivazione del cellulare o l’apposizione di un adesivo sulla lente , per tutto il tempo della permanenza”.
Altrove, come si ricorderà, per esempio il caso Samsung , alcuni colossi dell’elettronica hanno già inserito da tempo nelle linee guida di sicurezza per i propri dipendenti clausole che impongono il divieto di utilizzare, per ragioni di sicurezza, il telefonino dotato di videocamere in zone specifiche. “E’ inutile dire che simili iniziative, in un ordinamento italiano – spiega Sarzana di S. Ippolito – improntato alla massima libertà e tutela del lavoratore sarebbero difficilmente ipotizzabili poiché potrebbero porsi in contrasto con i diritti sanciti costituzionalmente e con lo Statuto del Lavoratori”.
Un altro settore nel quale si è registrato un certo imbarazzo è quello del taccheggio virtuale compiuto soprattutto in Giappone e Corea . Gli avventori, molto spesso giovani ragazze, entrano nei negozi e scattano foto o registrano filmati delle immagini contenute nelle riviste patinate, per poi inviarli tramite internet e avviare uno scambio di foto. La pratica, denominata digital shoplifting ha indotto addirittura il Parlamento Coreano a prendere in considerazione una legge che imponesse ai produttori di telefonini con video camera di inserire una suoneria non disattivabile, che sia in grado di avvertire tutti nel giro di pochi metri, che si sta scattando una foto.
“Se, tuttavia – spiega però Sarzana di S. Ippolito – l’evoluzione della nuova tecnologia mobile determina alcune possibili tensioni tra diritti, può accadere che un suo qualunque utilizzo, contribuisca a migliorare l’esistenza o addirittura a permettere di ottenere la prova della commissione di un reato. E’ il caso accaduto ad esempio nel Pembrokshire, in Galles, dove un uomo è stato incriminato per violenza sessuale per aver abusato di una ragazza che, durante il tentativo di violenza, aveva inavvertitamente spinto il tasto di chiamata rapida del suo cellulare permettendo di registrare la prova dell’avvenuta violenza: la presenza di un telefonino di terza generazione avrebbe potuto consentire la ripresa filmata dell’accaduto fornendo così una prova schiacciante all’accusa”.