Roma – Per cercare di approfondire i termini della nuova offensiva legale anche contro soggetti italiani che hanno posto in condivisione grandi quantità di file musicali (vedi Italiani denunciati per gli mp3 via P2P ), Punto Informatico ha avuto l’opportunità di intervistare Enzo Mazza , direttore generale della FIMI , la Federazione dell’industria musicale italiana (vedi anche l’intervista P2P, attacco all’Italia ).
Punto Informatico: Dei 30 italiani denunciati per la condivisione illegale di file musicali, una ventina sono gestori di server opennap, ovvero server sui quali non erano conservati file quanto, piuttosto, “veicoli” per lo scambio di file di ogni genere. Quale accusa ora devono fronteggiare?
Enzo Mazza: Sono informazioni che possono essere fornite solo dai magistrati, dobbiamo tutti aspettare le esatte motivazioni, in ogni caso vorrei ricordare che esiste il reato di favoreggiamento e comunque la legge sul diritto d’autore si applica anche a chi promuove l’attività illecita.
Ricordiamo poi che, come già avvenuto in passato, per esempio la scorsa estate, in tutti i casi relativi ad uploaders furono rinvenuti dalle forze di polizia, oltre a copie residenti su hard disk, anche cd riprodotti. Si tratta di condotte punite dalla legge indipendentemente dal file sharing. La copia personale, come previsto dalla Direttiva sul Copyright e dalla legge italiana è possibile solo da una fonte legale.
PI: Com’è evidente già dalle prime reazioni degli utenti, in molti si chiedono chi sia nel mirino dell’industria discografica. Tutti gli utenti che scambiano musica? Solo quelli che la condividono? Soltanto quelli che condividono molti file? A qualcuno piacerebbe sapere se esiste un livello di tolleranza…..
EM: Noi avevamo chiaramente segnalato la nostra intenzione di combattere il fenomeno dove era più grave e in tale contesto abbiamo segnalato gli episodi più eclatanti che, mi piace ricordarlo, sono visibili a chiunque si colleghi ad un sistema p2p.
Non abbiamo dovuto fare indagini, che peraltro non ci competono, ma abbiamo evidenziato alle forze dell’ordine e alla magistratura le dimensioni di alcuni comportamenti. Proseguiremo su questa strada.
Peraltro le segnalazioni hanno portato ad individuare anche reati più gravi e ciò è positivo.
PI: Alcuni degli indagati sarebbero infatti coinvolti anche in crimini legati alla pornografia infantile… Tornando alla musica e al file sharing, in Italia ci si devono aspettare molte future denunce per attività di questo tipo? Come si possono individuare gli utenti che condividono musica in rete?
EM: Ripeto, le norme sulla privacy italiana offrono solo lo spazio per fare denunce penali alla magistratura e alle forze di polizia, sta a loro poi svolgere indagini ed accertamenti.
In altri Paesi è stato possibile individuare e inviare una diffida al soggetto che da casa condivideva i file. Qui si ritiene che il singolo navigatore vada tutelato al massimo: d’accordo, non ci resta che andare alla stazione di polizia più vicina e denunciare il fatto.
PI: L’annuncio dato nelle scorse ore è destinato ad avvertire del problema “P2P e legalità” anche molti utenti che finora non hanno riflettuto sulla questione. Vi aspettate un crollo nell’uso del peer-to-peer da parte di italiani con la finalità di scambiare file musicali? Le azioni legali saranno al centro delle attività di informazione sulla pirateria e i danni che provoca come già accaduto negli USA?
EM: In Italia il mercato del singolo ha avuto un crollo del 97% solo lo scorso anno e siamo a livelli che stanno uccidendo, ad esempio, la musica dance italiana, fatta di tante etichette indipendenti. Ciò non è accettabile.
Qui non è in gioco solo la sopravvivenza delle major come si pensa, ma di tanta produzione italiana che non può assolutamente competere con la pirateria. PI: L’industria ritiene la condivisione di file musicali un vero e proprio furto che danneggia l’intero settore. Non temete che un’azione legale su vasta scala possa, nel tempo, suscitare il risentimento di una parte importante di quel settore, cioè di chi compra quei prodotti?
EM: Esistono ricerche di mercato che mostrano la disponibilità di molti consumatori verso un’offerta legale e di qualità e oggi, paradossalmente, l’offerta di musica si sta ampliando grazie alla riduzione della soglia d’ingresso data dalle nuove tecnologie, soprattutto sul fronte distributivo. Molti più gruppi ed artisti hanno la possibilità di farsi conoscere, i modi per entrare in contatto con la musica si stanno moltiplicando, pensiamo non solo al download, ma anche allo streaming, al mobile, ecc.
Apple Itunes in USA ha avuto 50 milioni di download a pagamento, il mercato quindi c’è ed è pronto a recepire l’offerta.
PI: Sì, infatti stanno fiorendo molti di questi sistemi, sebbene nessuno possa vantare capacità di distribuzione equiparabili a quelle delle piattaforme peer-to-peer. È da escludere, con lo sviluppo di sistemi legali di scambio, la nascita di un P2P legale magari finanziato da abbonamenti di qualche euro/mese versati dagli utenti? È un’opzione?
EM: Certamente il p2p legale avrà una sua collocazione, anche se è inevitabile che si debba costruire dei modelli che consentano il filtering. In USA, tecnologie per filtrare come Audible Magic e Snopcap sono all’esame sia dei titolari dei diritti, sia di alcune imprese che hanno prodotti per il p2p. Se dovessero funzionare si aprirà una nuova strada.
PI: Uno studio condotto all’Università di Harvard rilasciato proprio in queste ore sostiene che il file sharing musicale non solo non danneggia le vendite ma persino puo’ contribuire ad alimentarle. L’industria, a Milano, ha sostenuto l’esatto opposto. Difendere il principio del diritto di disporre dell’opera da parte dell’autore o del produttore con ogni mezzo non rischia di far perdere delle opportunità che il nuovo ambiente digitale produce?
EM: Purtroppo le ricerche come quella citata sono sistematicamente smentite da altre e dai fatti.
Tutti i maggiori studi di Forrester, Enders e Impact tra il 2002 e il 2003 hanno mostrato il devastante effetto sulle vendite. Inoltre lo studio di Harward ha preso in esame il periodo dell’anno, ovvero l’ultimo trimestre, che da solo rappresenta tradizionalmente il 40 % delle vendite, comparandolo con altri trimestri dell’anno. È evidente che invece bisogna costruire questi studi su periodi più estesi.
In altri Paesi, come Australia, Giappone, Germania, vi sono poi studi che hanno dimostrato che i downloader intervistati comprano nel complesso meno musica.
Ripeto poi il caso della musica dance italiana. Come è noto si tratta di brani che hanno vita breve e hanno subito un impatto devastante dal download selvaggio. Perfino deejay che operano professionalmente si scaricano i brani senza pagarli, però poi alla discoteca chiedono un cachet per la serata dove si esibiscono con brani pirata e questo è oltremodo inaccettabile.
Intervista a cura di Paolo De Andreis