Cina, cybermatta ai lavori forzati

Cina, cybermatta ai lavori forzati

La donna credeva di poter pubblicare su Internet le sue critiche al regime, in particolare sul modo in cui vengono trattati coloro che protestano. Ha avuto il fatto suo
La donna credeva di poter pubblicare su Internet le sue critiche al regime, in particolare sul modo in cui vengono trattati coloro che protestano. Ha avuto il fatto suo


Pechino – 18 mesi ai lavori forzati, questa la condanna che qualche settimana fa, ma si è saputo solo adesso, è stata comminata ad una cittadina cinese che riteneva di poter contribuire al risveglio democratico del suo paese. A svegliarsi è stata lei, dovendo aprire gli occhi dinanzi alla brutalità della repressione censoria.

Ma Yalian è stata accusata di aver pubblicato una serie di libelli contro le autorità di Pechino sostenendo il diritto di coloro che protestano e chiedono il cambiamento, di farlo senza essere perseguiti per questo. “Un numero crescente di persone – hanno spiegato commentando il caso quelli del Centro diritti civili in Cina di New York – si rivolge al governo per criticare le ingiustizie sociali e l’illegalità e le autorità hanno ormai deciso per la linea dura”.

L’utilizzo di Internet per Ma, come per tanti altri dissidenti , consentiva di raggiungere un alto numero di concittadini: il proliferare di pagine personali, forum e altri luoghi di discussione online rappresenta da tempo uno dei più grossi problemi per il regime di Pechino, non nuovo alle censure contro una “eccessiva” libertà di espressione.

Ora Ma dovrà scontare un anno e mezzo di lavori forzati nei pressi di Shangai avendo sulle spalle una sentenza secondo cui la sua politica e la sua ideologia sono sbagliate e che, con la fatica e il lavoro, si può sperare che guarisca.

Secondo il Centro newyorkese, la polizia può decidere di inviare un cinese ai lavori forzati senza intervento dei giudici se la pena dura meno di tre anni.

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Pubblicato il
2 apr 2004
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