Washington (USA) – Una lettera trasmessa dai discografici americani della RIAA ai membri del Senato americano non lascia spazio per i dubbi: gli studios appoggiano la legge che vieta il P2P .
Nella lettera firmata dal boss della RIAA Mitch Bainwol, si appoggia la normativa che sta seguendo il suo iter piuttosto rapidamente e che intende mettere fuorilegge la produzione di software di scambio .
L’ Inducing Infringement of Copyrights Act (già noto come “Induce Act”) ha questa denominazione perché si incardina sull’accusa ai produttori di questi software di voler costruire piattaforme che inducono all’illegalità i giovani, causando allo stesso tempo danni all’industria e alla società nel suo complesso.
Bainwol, che pure descrive come “magnifica” la tecnologia P2P, sposa dunque le tesi di Orrin Hatch , l’influente congressman che ha sottoscritto, con altri, il progetto di legge. “Queste selvagge società del P2P – scrive Bainwol – fanno soldi con la pubblicità e integrando spyware nelle proprie applicazioni. Il loro scopo è farsi seguire da più utenti possibili e lo ottengono inducendo i bambini americani – e non solo – a violare la legge rubando il lavoro degli autori”.
Nelle parole di Bainwol le società del P2P “ostacolano la modernizzazione perché mina il proprio modello di business”. Un’accusa che in molte occasioni è stata rivolta proprio alle major per la loro campagna contro il P2P. A suo dire “non c’è nulla di malvagio in sé nel P2P, al contrario è una tecnologia straordinaria. Ma è stata catturata da operatori senza scrupoli che hanno basato il proprio business sul furto di proprietà dei miei associati”, vale a dire i discografici. “Ironicamente – sostiene Bainwol – gli operatori del P2P che si nascondono sotto la copertura protettiva della Tecnologia non vogliono adottare risposte tecnologiche esistenti per risolvere questo problema”.
La proposta normativa, il progetto S. 2560, secondo alcuni esperti non solo mette al bando le tecnologie di peering ma, non entrando nello specifico, rischia anche di rendere illegali prodotti su cui riprodurre brani protetti , come i player multimediali. Un problema che secondo Bainwol non esiste: “La legge è pensata per garantire la vivacità tanto della nostra comunità creativa quanto di quella tecnologica” (un parere esperto contro la nuova normativa è stato pubblicato sulla sezione Ricerche del sito dell’Università di Yale ).
Bainwol, che nella sua lettera descrive anche il declino delle vendite, mettendole in diretta relazione con l’avvento del file sharing , afferma che “la relativamente nuova pirateria online ha già avuto un impatto davvero devastante in poco tempo, cosa che rende cruciale la nostra battaglia. E la forma più virulenta di pirateria online è la condivisione su reti P2P”.
Bainwol rifiuta anche la tesi avanzata da molti esperti secondo cui il P2P alimenta le vendite di musica . “Qualcuno – scrive – ha suggerito che il P2P spinge la vendite o ha poco impatto sulle vendite. Già, è come se i maiali volassero. L’assurdità di quell’idea è palesata da come viene venduta la musica. Se si può ottenere qualcosa gratuitamente, senza conseguenze, comprare diventa meno interessante”.
Secondo Bainwol il calo dell’occupazione nel settore, “ci sono famiglie che soffrono”, è anche dovuto a quanto sta succedendo online, una situazione in cui “gli artisti vengono massacrati prima di avere la possibilità di farsi conoscere dai fan e realizzare i propri sogni”.
La lettera, un appassionato appello affinché i senatori approvino in tempi rapidi l’Induce Act, si conclude affermando che “se non diamo valore alla proprietà intellettuale, allora compromettiamo il futuro economico del nostro paese e le fondamenta dei diritti di proprietà che sono la base del nostro grande sistema capitalistico”.