Zoppicano certe indagini online

Zoppicano certe indagini online

di Daniele Minotti - Il caso dell'inchiesta sul pedoporno a Cagliari deve suscitare attenzione per le procedure, le particolarità della rete e i diritti degli utenti. Ecco cosa è accaduto
di Daniele Minotti - Il caso dell'inchiesta sul pedoporno a Cagliari deve suscitare attenzione per le procedure, le particolarità della rete e i diritti degli utenti. Ecco cosa è accaduto


Roma – Non è passato molto tempo dall’ondata di sequestri di materiale informatico in relazione a presunti traffici di materiale pedopornografico asseritamente acquistati mediante carte di credito.
Molti ricorderanno i provvedimenti del Tribunale di Cagliari; sia per il contrasto tra gli esiti di distinte impugnazioni, sia per la stigmatizzazione, almeno in un caso, dell’opera degli inquirenti accusati, proprio dal Riesame sardo, di procedere a perquisizioni e sequestri per scovare quegli elementi di accusa (il cd. “fumus commissi delicti” ) che, almeno in parte, già dovevano esserci e che, invece, non c’erano.

Pochi sanno, invece, che molti di quei procedimenti (con migliaia di persone indagate) stanno per essere archiviati o, addirittura, hanno già preso quella strada.

Evidentemente, non si è trattato di indagini ineccepibili, quanto meno sotto il profilo del metodo. E non è la considerazione di chi, come me, per motivi professionali ha visionato gli atti. Basta fare il rapporto tra i numeri iniziali e quelli finali (troppo spesso taciuti) e prendere atto che quello scarto riguarda non poche inchieste.

Eppure, ancora oggi, ad ogni nuova indagine informatica, specie in materia di pedopornografia, si snocciolano numeri da record con un atteggiamento chiaramente colpevolista del tipo “mille indagati, mille futuri condannati”. Si pensi, ad esempio, ai casi di cronaca più recenti (Genova e Catania).

L’intento che muove gli investigatori – la lotta, appunto, contro la criminalità, in particolare quella più odiosa che colpisce i bambini – è sicuramente lodevole, ma penso che il nostro sistema non possa, comunque, giustificare l’uso di certi mezzi brutali e scomposti. Per tacere del fatto che l’opinione pubblica, informata soltanto parzialmente con conferenze stampa di vetrina, non è in condizione di giudicare l’operato degli organi dello Stato.

Recentemente, su it.diritto.internet, è stato lanciato un thread sul “rapporto segnale/rumore” nelle indagini sui reati informatici, in particolare quelli riguardanti traffici pedopornografici, ed un post è stato perentorio: “S/N->0”. Una battuta, è vero, ma, come suggerito sopra, non distantissima dalla realtà e chi lavora in questo ambito lo sa perfettamente.

Penso che tutti, inquirenti inclusi, debbano porsi alcune domande fondamentali. E’ accettabile che per “incastrare” anche soltanto un pornografo si indaghino tante persone in modo sostanzialmente indiscriminato? E’ accettabile e giuridicamente corretto fare, letteralmente, razzia di apparecchiature informatiche per, poi, restituirle, in seguito all’esito negativo di accertamenti più o meno rigorosi, dopo mesi o anni rispetto al giorno del sequestro? Non vi sono altri metodi di indagini, più “chirurgici”, che consentano di limitare il numero dei “falsi positivi”?

Io, con la mia coscienza, do una terna di risposte: no, no, sì. Non è detto che siano le risposte “giuste”, ma se tutti i cittadini provassero a rispondere a questa sorta di questionario sarebbe, di sicuro, un valido esperimento di democrazia, anche se, purtroppo, è ben radicato il forte pregiudizio secondo cui chi usa intensamente il computer è uno sfaccendato e se, per avventura, ha una connessione Internet fa sicuramente qualcosa di illegale.

Eppure, oramai, il computer lo usano tutti e moltissimi accedono alla Rete: magistrati, poliziotti, avvocati, preti, ecc.

Tutti delinquenti, allora? Troppo spesso ci si dimentica che le considerazioni più ovvie, fondate su dati lampanti, sono quelle giuste: l’informatica è, attualmente, una risorsa insostituibile (anche se non unica), strumento di studio, lavoro ed anche ricreativo. In poche parole, uno straordinario mezzo di crescita personale e sociale. Acqua calda; e non sono certo il primo ad aver fatto questa scoperta.
Non soltanto, dunque, per ragioni di tutela della proprietà i sequestri vanno attentamente ponderati e limitati nella loro estensione, ma anche per questi motivi non certo secondari o trascurabili.

Risale a pochi mesi fa un’interessante sentenza della Cassazione , sostanzialmente passata nel silenzio, secondo la quale, in termini generali e in assenza di specifiche ed esplicitate esigenze, il sequestro probatorio (quello più comune) di un pc deve essere, in realtà, circoscritto alle memorie di massa.

Un piccolo passo, comunque importante. Evidentemente, però, i più anziani e ponderati giudici della Suprema Corte hanno raggiunto quella sensibilità che, tra i più giovani (e, teoricamente, più attenti alle nuove tecnologie), stenta non poco a diffondersi.

Daniele Minotti
Studio Legale Minotti

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Pubblicato il
3 ago 2004
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