USA, bocciata la censura di stato

USA, bocciata la censura di stato

Applaudono i sostenitori dei diritti civili: non si può chiedere ai provider di filtrare i contenuti web al posto dei propri abbonati. Si finisce per censurare un'enorme quantità di siti del tutto legittimi
Applaudono i sostenitori dei diritti civili: non si può chiedere ai provider di filtrare i contenuti web al posto dei propri abbonati. Si finisce per censurare un'enorme quantità di siti del tutto legittimi


Washington (USA) – C’è aria di festa nei quartieri generali delle associazioni per i diritti civili statunitensi: un tribunale distrettuale ha bocciato una normativa che costringeva i provider a censurare internet per conto dei propri abbonati, in nome della lotta alla diffusione di pedopornografia.

Gli effetti della decisione del giudice Jan E. DuBois sono destinati ad andare ben oltre quelli di una bocciatura di una legge della Pennsylvania, in quanto la sentenza avrà un forte impatto sul futuro del COPA (Child Online Protection Act), la normativa federale che prevede proprio l’utilizzo su larga scala dei filtri antiweb.

La cosa più importante secondo i sostenitori dei diritti civili che hanno portato quella normativa in tribunale, è che la corte abbia riconosciuto come i filtri su Internet siano inefficaci , al punto che i provider sono stati costretti a cancellare la possibilità di accedere non solo a siti sospetti o illegali ma anche a decine di migliaia di siti perfettamente legittimi. In questo senso hanno rilasciato deposizioni anche big del settore, come America Online e Verizon.

Quella sui filtri sui contenuti web è una battaglia che risale alla fine degli anni ’90 ma la decisione che boccia la legge della Pennsylvania viene vista dal Center for democracy and technology e dall’ American civil liberties union come una tappa storica nel far riconoscere a livello istituzionale l’assurdità dei filtri di stato .

Proprio secondo le due associazioni, che hanno monitorato l’andamento della censura negli ultimi due anni, sono stati tagliati fuori almeno 1,5 milioni di siti web che si occupavano di tutto meno che di disseminare immagini di pornografia infantile. Un’altra conseguenza della legge si è vista due anni fa, quando l’operatore MCI ha dovuto cedere alle richieste del procuratore generale della Pennsylvania e impedire l’accesso a cinque siti web: un blocco che dovette essere esteso a tutti gli utenti nordamericani che sfruttavano le dorsali di MCI.

Secondo il giudice DuBois, la tecnologia oggi più avanzata “non può essere utilizzata senza portare ad una censura della libera espressione, in violazione del Primo Emendamento”. Si tratta, ha concluso DuBois, di una legge incostituzionale .

Dopo l’alt al COPA deciso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti , quella di queste ore è una sentenza che potrebbe secondo gli osservatori portare alla morte dei filtri obbligatori o quantomeno della loro imposizione obbligatoria perché non funzionano o funzionano male. Eppure ancora oggi, in una vicenda diversa ma vicina al COPA, negli USA soltanto le biblioteche che adottano filtri a monte per le proprie postazioni Internet possono ottenere fondi di sostegno federali.

“Piuttosto che bloccare quantità enormi di contenuti Internet legali per tentare di nascondere la pornografia infantile – ha chiosato John Morris del Center for democracy and technology – le forze dell’ordine dovrebbero perseguire la fonte del pedoporno, i criminali che la creano e la diffondono”.

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Pubblicato il 13 set 2004
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