Roma – Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo un approfondimento sulle nuove normative relative all’accessibilità
Dalla Campa-Palmieri alla legge Stanca
Correva l’anno 2002 quando la proposta di legge 3486 “Norme per il diritto di accesso ai servizi e alle risorse telematiche pubbliche e di pubblica utilità da parte dei cittadini diversamente abili” si affacciava sul panorama del web italiano con la firma degli onorevoli Campa e Palmieri. Lo scopo era semplice: rendere obbligatorio per le Pubbliche Amministrazioni il rispetto delle linee guida W3C WAI per l’accessibilità a internet da parte dei disabili . Né più, ne meno. La semplicità della proposta era la sua forza: attorno ad essa si coagulavano forze e nomi di tutto rispetto, a cominciare da Microsoft Italia e IBM . La proposta non riceveva l’adesione da parte del ministro per l’ innovazione e le tecnologie Lucio Stanca, che annunciava la presentazione di un suo disegno di legge.
Sei per Palmieri o per Stanca?
Se la Campa-Palmieri era incentrata sul rigido rispetto delle raccomandazioni WAI, assunte a rango di norma, il successivo disegno di legge ministeriale puntava a coinvolgere un ambito culturale e tecnologico più vasto:
– includendo non solo siti Web ma anche sistemi informatici, tecnologie assistive e telelavoro;
– investendo sulla sensibilizzazione degli operatori attraverso incentivi materiali e immateriali;
– demandando a futuri provvedimenti attuativi la definizione dei requisiti tecnici ed i diversi livelli per l’accessibilità e le metodologie tecniche per la verifica dell’ accessibilità dei siti Internet, nonché i programmi di valutazione assistita utilizzabili a tale fine (art. 9 disegno di legge).
L’obiezione principale che veniva mossa era: ma come, il W3C lavora da anni con le migliori risorse umane per definire le linee guida per l’accessibilità e noi, italiani, pretendiamo di definire a casa nostra cosa si deve intendere per “accessibilità”? Ma tant’è: di fronte alla firma ministeriale la proposta dei forzisti Campa-Palmieri dovette cedere il passo, e il 17.1.2004 venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 9.1.2004, n. 4 “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”.
Le proposte di linee guida e la verifica dell’accessibilità
La distanza tra le due proposte non poteva essere più evidente. Curiosamente, le proposte di linee guida del Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione si stanno orientando verso tecniche di scrittura complesse, di difficile interpretazione e, stando agli esperti, spesso contraddittorie.
Dal canto loro nelle liste di discussione che si occupano di accessibilità i professionisti “lato codice” assumono un atteggiamento di estrema rigidità verso siti che erroneamente espongono la conformità WAI o mantengono la doppia versione. Con tutto che gli stessi professionisti potrebbero essere arruolati come valutatori autorizzati ai sensi dell’art. 3 della bozza di Regolamento che, paradossalmente, non li esclude tout court dal mercato delle committenze pubbliche.
Della interpretazione ultraortodossa delle direttive in materia di accessibilità i professionisti in questione fanno una questione personale: l’espressione ” essere un talebano ” dell’accessibilità ricorre spesso nelle liste ed è percepita positivamente dai soggetti cui è indirizzata. E ciò nonostante le stesse linee guida WAI tutto sono fuorché rigidissime. Semplici raccomandazioni, per lo più anch’esse ricche di implicazioni contraddittorie. Insomma: per qualcuno la rigidità della proposta Campa-Palmieri, uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra, questa volta decisa a non fare prigionieri.
Non confondiamo accessibilità e disabilità
La cosa curiosa è che accessibilità e disabilità sono cose tra loro lontane e ben distinte. So che possono sembrare affermazioni forti, ma – e lo posso dire per avere presieduto un’associazione di volontariato – la percezione è che nell’immaginario collettivo del web gli esperti di accessibilità godano di una sorta di sacro crisma dell’infallibilità e non criticabilità in quanto agirebbero in difesa di soggetti “minori”, altrimenti non tutelabili.
Non è così: anzitutto le associazioni di disabili non hanno bisogno di “tutori” e in secondo luogo la confusione pietistica dei ruoli non giova a nessuno. Ai disabili interessa che i siti non siano inaccessibili in ragione delle specifiche disabilità : tema complesso che qui mi permetto di non affrontare, ma cui accenno limitandomi a citare l’episodio narratomi da uno dei maggiori esperti italiani in tema di barriere architettoniche, Gaetano Venturelli .
Questi, avendo sostituito con delle rampe i gradini di accesso ai marciapiedi in una città emiliana, si sentì apostrofare per telefono da una non vedente perché questa, uscita un giorno di casa, non era riuscita a tornarvi da sola avendo perso ogni punto di riferimento fisico col bastone. Il disabile autosufficiente era stato così trasformato in disabile non autosufficiente.
Codice e architettura
Più in generale, credo occorra distinguere con attenzione fra codice e architettura. Scrive bene Albert-László Barabási : il primo “è l’insieme dei mattoni con cui costruiamo il cyberspazio. L’architettura è ciò che costruiamo con questi mattoni. I grandi maestri della storia, da Michelangelo a Frank Lloyd Wright, hanno dimostrato che l’architettura è l’arte di superare i limiti imposti dalla materia.
Il codice può limitare il comportamento, e quindi condiziona l’architettura. Ma non la determina . Come gli edifici costruiti dagli architetti, l’architettura del Web è il prodotto di due elementi ugualmente importanti: il codice e le azioni umane collettive da esso regolate. Il primo può essere stabilito in ugual modo dai tribunali, dal governo e dalle aziende; il secondo non può invece essere modellato da nessuna istituzione e da nessun singolo utente, perché il Web non ha un progetto centrale: è autorganizzato. Si sviluppa dalle azioni individuali di milioni di utenti.
Il risultato è che il Web ha un’architettura più ricca della somma delle sue parti. Quasi tutte le sue caratteristiche più importanti, i suoi tratti emergenti e le proprietà che lo contraddistinguono derivano dalla sua topologia autorganizzata a larga scala”.
Il linguaggio degli esclusi
Se le tendenze alla chiusura passassero, il risultato sarebbe quello – inevitabile – della conferma dell’assunto secondo il quale se le istanze degli esclusi non vengono rese in un linguaggio comprensibile a tutti, non ai soli esclusi, gli esclusi diventano coloro – individui, cittadini, organizzazioni – che della solidarietà, dello sviluppo sociale e, nel caso che ci occupa, delle tematiche della accessibilità – non conoscono (o non vogliono conoscere) le prerogative, le attività, i problemi o le prospettive. Gli inclusi diventano così, in un ribaltamento di prospettiva, proprio le associazioni di volontariato, i gruppi di solidarietà, le liste di opinione e i loro “pubblici” ricchi di umanità, ma, anche, di problemi e difficoltà reali (Volterrani).
Conclusioni
Bisogna conoscere a fondo le infinite sfaccettature – non sempre positive – del mondo dei disabili per comprenderne i valori e le aspettative: irrigidire le normative non giova a nessuno, tantomeno ai disabili. Creare una sorta di regime del terrore da bollino non crea cultura dell’accessibilità, non diffonde valori positivi . Al contrario ottiene l’esatto opposto: far percepire ai soggetti chiamati all’applicazione della normativa il disvalore derivante dai costi dall’ennesima, rigidissima, normativa di settore, perché così verrà percepita. Senza voler mancare di rispetto ad alcuno, l’errore non sta nel volere l’applicazione corretta delle regole, ma nel pretenderla in modo autocratico .
Lorenzo Spallino
Webimpossibile