Roma – Mi succede, ma credo accada a tanti, di circondarmi via mail, via forum o via usenet di un continuo chiacchiericcio. Sotto la superficie del trolleggio cazzeggiante endemico sulla rete si cela una montagna di informazioni. E queste cambiano il mio modo di pensare, il mio modo di usare la rete e anche il mio essere consumatore. Ma questo non succede solo a me, succede a tanti, a tantissimi.
D’accordo, è una constatazione banale, ma dipinge una rivoluzione che è già cominciata , sebbene industria e governi fatichino a prenderne atto. E i suoi effetti sono dirompenti.
Come esperti ben più autorevoli già hanno detto e scritto, viviamo immersi in un coacervo di informazioni di prima mano , aneddoti ed esperienze su ogni cosa, compreso ciò che offre il mercato, sulle leggi e sui loro effetti. Un insieme dinamico di dati le cui origini e modalità di propagazione sfuggono completamente agli strumenti ingessati dei media mainstream e, come ben sanno certi blogger, sebbene di tanto in tanto qualcuno cerchi di mettere ordine, tentare una sintesi rimane impossibile. Siamo immersi in un insieme di “notizie” come mai prima nella nostra storia.
“Internet – ha scritto un magistrato noto per le sue vedute avanzate, Gennaro Francione – è una realtà psicologicamente liberatoria: la possibilità di smontare l’informazione è una necessità psichica dell’individuo per rispondere al condizionamento quotidiano dei media”.
Tutto questo ha un impatto esplosivo perché io utente, che in fin dei conti non sono soltanto consumatore di tecnologia (internet) ma anche di tante altre cose, non sono “bombardato” come a qualcuno piace credere, vado proprio a caccia di informazioni del terzo tipo, per tentare un incontro ravvicinato con realtà altrimenti a me sconosciute, per accertarmi della serietà di un’azienda o dell’affidabilità di un servizio, per sapere se vale la pena scucire decine di euro per l’ultimo CD d’oltreoceano. In altre parole, imparo a scegliere . La molteplicità di fonti disorganiche mi provoca e mi emancipa attraverso la conoscenza: mi consente di scegliere diventando via via sempre più padrone di ciò che faccio e, soprattutto, di come consumo .
Di conseguenza compro molti meno compact disc, valuto con attenzione l’acquisto di un DVD, scelgo tra gli operatori telefonici quello che effettivamente mi offre il servizio migliore al prezzo migliore, rinuncio al satellite perché non condivido certe scelte industriali, compro alimenti che so da dove provengono e reagisco stupito se sui prodotti c’è solo un marchio di fabbrica anziché l’esatta filiera finanziaria che mi consenta di sapere se dietro a un, chessò, “barilla” c’è un, dico per dire, “philip morris”. Sono risentito se non mi danno informazioni che considero banali e mio diritto, perché mi sto abituando a sapere , a capire, a vedere oltre. E so dove cercare i pezzi necessari a completare i puzzle che mi mettono di fronte.
Ma non lo faccio solo io. Conosco via forum, via email e via usenet decine di persone che mi hanno confidato di fare la stessa cosa. Ma davvero la pirateria e il P2P sono le ragioni per cui non si compra più? Ma chi di quelli che frequenta Usenet crede alle dichiarazioni di certi ministri sulla copertura ADSL? Ma quante sono le aziende che usano o hanno davvero bisogno del broad band? Chi non consulta l’esperienza degli altri prima di acquistare un abbonamento alla telefonia mobile o un accesso ad Internet?
L’impressione è che tutto ma proprio tutto stia cambiando e che ci siano discutibili tesi, come la relazione che vi sarebbe tra P2P e crisi del mercato musicale, che non sono cortine fumogene, come dice qualcuno, ma sono proprio frutto di ignoranza , ossia dell’ignorare che quello che sta avvenendo non è una follia collettiva ma è, semmai, una collettiva presa di coscienza. I cui effetti, lo spero davvero, andranno ben oltre gli interessi o i dolori di una manciata di corporation.
di S.M. vedi anche:
Urbani si riscopre mammista
L’olandese volante