Roma – Lo shared access , l’ultima novità che ha infiammato il mercato Adsl, lo sta facendo girare come una trottola, consegnandolo a nuove evoluzioni. Già, perché lo shared access di Wind e Tiscali , promessa di Adsl veloce a costo ridotto, è solo l’inizio: gli Isp si stanno guardando intorno, stretti come sono in una morsa. Si devono adeguare: “La paura è di uscire dal mercato”, spiega a Punto Informatico Paolo Nuti, presidente dell’ Aiip , l’associazione dei principali provider. E quindi tireranno fuori anche loro qualcosa dal cilindro, visto che per ora Wind e Tiscali, grazie appunto allo shared access, hanno offerte con un rapporto prezzi/prestazioni imbattibile. Rispettivamente, 29,95 euro al mese per un’Adsl a un Mbps, 36,95 euro al mese per un’Adsl a 2 Mbps.
Sono giorni infuocati, in cui “gli Isp stanno facendo per bene i conti, per capire se conviene davvero investire in infrastrutture e passare allo shared access. Ma quello che abbiamo scoperto apre molti punti di domanda”. E cioè che lo shared access ha una serie di costi occulti che, in alcuni casi, possono gravare sulla testa del provider fino a farla vacillare. Ma allora c’è davvero il rischio che i provider minori soccombano, non potendo scommettere sullo shared access? “Calma. In realtà sta per spuntare un’alternativa: il BitStream”, dice Nuti. Telecom Italia l’ha annunciato venerdì scorso, un po’ in sordina. Sarà un’alternativa all’acquisto dell’Adsl all’ingrosso e, a detta di Telecom, arriverà entro il 31 dicembre 2004.
“Non ci sono altri dettagli, bisognerà aspettare; ma si tratta del tanto sospirato listino di interconnessione associato all’Adsl. Si presume ci permetterà, in certi casi, di abbassare i costi a monte per l’Adsl e di poter gestire con più autonomia la connessione del cliente senza dover passare da Telecom per ogni operazione”. Com’è noto, la pratica dell’interconnessione è imposta dal Garante TLC solo agli operatori dominanti di un settore.
“Le tariffe per gli operatori che si interconnettono sono orientate ai costi reali. Ossia sono pari a quelli affrontati da Telecom per gestire la rete, più un giusto compenso”. È il sistema che regola l’interconnessione per i servizi voce. Non è disponibile per l’Adsl, dove Telecom Italia non è infatti ancora stato riconosciuto operatore dominante, nonostante abbia circa il 70 per cento di quota di mercato. Operatori come Tele2 (in particolare) da tempo implorano per avere l’interconnessione anche sull’Adsl, ma per ora possono solo o comprarla all’ingrosso, del tutto subordinati quindi a Telecom, o offrirla in autonomia creando infrastrutture di unbundling. All’alternativa, al vagheggiato BitStream, già si aggrappano le speranze dei provider. Dello shared access, del resto, parlano bene solo Wind e Tiscali, per ora.
“Ci dà numerosi vantaggi, che poi si riversano sull’utente”, spiega a Punto Informatico Patrizio Pizzetti, product manager di Tiscali. “L’Adsl acquistata all’ingrosso non ci dà margini di profitto, lo shared access sì: migliora il rapporto tra costi e guadagni del 70 per cento in media”. Antonio Converti, direttore marketing di Libero, conferma: “Possiamo fare profitti, con l’Adsl, solo sul 30 per cento dei doppini italiani: quelli che abbiamo coperto con l’unbundling. Pari a 160 città”. La copertura di Tiscali è invece ora pari al “25 per cento dei doppini, 15 città, che entro fine anno saranno 30”, dice Pizzetti. S’intende però che queste città sono coperte a macchia di leopardo: “Già da metà novembre raggiungeremo il 90 per cento di Milano e di Roma”. Il punto è che “ci conviene investire in infrastrutture di unbundling solo nelle zone più remunerative, dove crediamo di poter recuperare le spese”. In altre zone, al provider resta più conveniente offrire l’Adsl comprandola da Telecom.
Lo shared access quindi ha un rovescio della medaglia: è fonte di un nuovo digital divide tra città italiane. Ci saranno gli utenti che soffrono perché non possono avere l’Adsl e quelli che invidieranno il vicino perché non possono averla in shared access. Ossia a condizioni sulla carta migliori, grazie a risparmi ottenuti a monte dal provider. Ma non solo: “Poiché possiamo offrire l’Adsl in autonomia, siamo noi a scegliere i tagli dell’Adsl. Così abbiamo potuto lanciare offerte a 6 Mbps e a 12 Mbps, mai viste in Italia”. Si tratta in realtà di una tecnologia di Adsl 2, “poiché l’Adsl normale non può superare gli 8 Mbps; ma a quanto mi risulta non si è mai riusciti a portarla nemmeno a 6 Mbps”, spiega Nuti.
L’Adsl 2 si basa su Dslam di nuova generazione (compatibili anche con Adsl 1) posti dal provider nella centrale di Telecom. Un altro vantaggio dell’autonomia è che “possiamo gestire meglio l’Adsl dell’utente. Non abbiamo bisogno di passare da Telecom se vogliamo fare un upgrade, risolvere un disservizio, attivare e disdire la linea”. Fine dei drammi per le Adsl che zoppicano e che fanno sospirare, con provider e Telecom pronti a rimpallarsi le responsabilità per i disservizi e le lungaggini? Staremo a vedere. C’è infine un altro teorico vantaggio dell’Adsl shared access, ma è ancora tutto da verificare: la promessa di una velocità reale più elevata. “La connessione tra noi e l’utente è più diretta, rispetto a quanto avviene con le Adsl normali. La velocità media dell’Adsl tenderà a essere più vicina a quella massima”, dice il product manager di Tiscali.
La questione è in realtà complessa e riguarda i cosiddetti “costi occulti” dello shared access, di cui parla Nuti. “Oltre al canone per l’affitto del doppino, 2,8 euro al mese, il provider deve pagare i contributi d’impianto e mettere in conto i costi futuri della disattivazione, due voci che in media sono pari a 82,5 euro e 112,14 euro all’anno, rispettivamente per il full unbundling e lo shared access”. I contributi di impianto sono previsti anche nelle tariffe dell’Adsl all’ingrosso, “ma in questo caso Telecom tende a non farli pagare al provider”. Poi bisogna pagare l’affitto della parte occupata nella centrale di Telecom (una spesa nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro). E i costi di infrastruttura: dei Dslam da porre in centrale e, soprattutto, della banda di backhauling; quella del cavo in fibra ottica con cui li si collega alla rete del provider.
Wind usa, “nella maggior parte dei casi”, dice Converti, “infrastrutture proprie per raggiungere i Dslam”. Tiscali invece non ha infrastrutture di Man (Metropolitan area network) fino alle centrali e quindi acquista da Telecom il trasporto in fibra. Su ogni Dslam è collegato un certo numero di utenti, “a scelta del provider. Mille, nel caso di Telecom Italia, in media. È opportuno però che non siano meno di 500, per avere buone economie di scala”, dice Nuti. Sono utenti insomma che si troveranno a spartire lo stesso filo che porta alla rete dei provider. Condivideranno quindi la stessa banda, un po’ come avviene nei Vp (Virtual Path) usati nei circuiti dell’Adsl all’ingrosso.
Si pone quindi un problema: assegnare un Mcr (Minimum cell rate, banda minima garantita) per ogni utente del Dslam. Se è troppo basso, a onta della velocità massima dichiarata dal provider, si navigherà lenti. E il punto è che “secondo i nostri calcoli, se si va ad acquistare la fibra da Telecom e se si assegna un Mcr minimo, ossia di 64 Kbps su un’Adsl da 2 Mbps, il costo di backhauling è pari al 34 per cento del totale necessario per offrire l’Adsl in shared access”.
Wind, in questo caso, avendo proprie infrastrutture e offrendo Adsl al massimo da 1 Mbps, sembra meglio posizionata rispetto a Tiscali. Nessuno dei due operatori dichiara però l’Mcr; Tiscali lo faceva per la vecchia offerta Premium, che però proprio di recente è stata abolita. Si noti che è proprio questo costo di backhauling, da cui dipende in gran parte la velocità reale dell’Adsl, a trattenere gli Isp dal passare subito allo shared access. E se gli operatori che invece lo offrono, o lo offriranno, hanno scelto di fare quadrare i conti risparmiando sul backhauling, le promesse di super velocità andranno in fumo.
E non è finita qui, c’è un’altra incognita: “Non tutti i doppini degli utenti riescono a supportare velocità da 2 Mbps in su”, dice Nuti. “Alcuni sono troppo vecchi, ossidati o hanno altri problemi: è così il 5-10 per cento dei doppini, secondo Telecom. Secondo la nostra esperienza, molti di più”. E infatti Tiscali mette le mani avanti, spiega che alcuni doppini possono rivelarsi inadeguati all’alta velocità, “ma sono meno dell’1 per cento”.
Insomma, i prossimi mesi saranno quelli della verità, in un mercato Adsl diviso tra sostenitori dello shared access e altri operatori che, titubanti, cercano alternative. Sarà vera gloria per la nuova Adsl italiana?