Roma – Un accordo a tutto campo quello firmato nelle scorse ore da Microsoft e dal ministero della Giustizia italiano , un’intesa che mette al centro il Government Security Program (GSP) che consente alle istituzioni di dare un’occhiata al codice sorgente di Windows e alle principali applicazioni Microsoft.
Il protocollo d’intesa, secondo quanto dichiarato, segna l’inizio di una collaborazione a lungo termine , mirata al trasferimento di know-how su alcune delle più diffuse tecnologie software che oggi vengono utilizzate sia sui personal computer che sui server.
“Questo – si legge in una nota – include l’accesso ai codici sorgenti e l’analisi dei processi di sviluppo, di testing e di installazione delle componenti software fondamentali, nonché incontri scientifici presso i laboratori di Ricerca e Sviluppo Microsoft a Redmond (USA) per confrontarsi e interagire direttamente con i tecnici e gli sviluppatori sui progetti in corso e su quelli futuri. L’attività consentirà al Ministero di disegnare politiche di prevenzione degli attacchi informatici e di gestione delle crisi in caso di attacchi attivi”.
Secondo Stefano Aprile, vice direttore dell’ufficio del responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero, “l’accordo con Microsoft rappresenta un passo ulteriore in questa direzione. In particolare, l’accesso al codice sorgente diviene, ora, uno degli asset della politica del Ministero in materia informatica”.
Va detto che il Ministero è solo la seconda istituzione italiana che ha adottato il GSP. Come si ricorderà, infatti, un accordo del tutto simile Microsoft lo ha già firmato con il CNIPA nel settembre 2003. In origine il GSP era pensato per consentire di “sbirciare” sul codice di Windows ma da qualche settimana Microsoft ha allargato il progetto anche a MS Office .
Ad ogni modo, l’accordo sembra indicare quanto effettivamente Microsoft abbia visto lungo quando ha deciso di varare il GSP, progetto che ora consente al big di Redmond di avvicinarsi in modo nuovo ai partner governativi, quegli stessi che di questi tempi talvolta si dimostrano sensibili alle sirene dei software alternativi a quelli proprietario, ossia all’open source.