Roma – “Proviamo a scendere e poi risalire”. Questo il suggerimento che, in una famosa barzelletta, l’ingegnere informatico dà ai propri colleghi di viaggio per risolvere un improvviso guasto che ne ha bloccato l’automobile. La battuta, una chiara metafora dei metodi empirici che spesso vengono applicati dagli informatici alla risoluzione dei problemi che affliggono i computer, è destinata ad apparire sempre meno paradossale.
Le moderne auto sono infatti sempre più immerse nell’elettronica e affidano moltissime funzioni, anche banali (come l’apertura di un finestrino), a dei chip. Il risultato è che oggi, specie sulle macchine di lusso, la complessità data dagli apparati elettronici e informatici ha di gran lunga superato quella della meccanica. Per riparare molti guasti, l’orecchio allenato e l’esperienza di un meccanico non bastano più: entrano in gioco sistemi diagnostici computerizzati, aggiornamenti software e, qualche volta, i famosi metodi empirici del buon informatico.
In un recente articolo apparso sul New York Times , si raccontano le storie, spesso grottesche, di alcuni guidatori che hanno avuto la sfortuna di imbattersi in alcuni effetti collaterali delle auto hi-tech: un climatizzatore automatico che ha rischiato di arrostire vivo un bimbo seduto nel vano posteriore; luci interne che hanno cominciato a lampeggiare; un motore che si spegneva apparentemente a caso, salvo poi riaccendersi senza problemi subito dopo; un computer di bordo che notificava la necessità di effettuare il tagliando a chilometraggi differenti da quelli previsti dal produttore. Tutti problemi che, come poi appurato dai concessionari, erano generati da guasti nell’hardware o errori e incompatibilità nel software.
La società di analisi ABI Research ha stimato che, in USA, circa il 30% delle riparazioni effettuate in garanzia riguardano problemi relativi ai componenti elettronici o al software. Un dato che la dice lunga sull’impatto che sta avendo il silicio nel mondo delle autovetture.
Risalire ai guasti di un chip o di un computer si rivela talvolta compito arduo, e questo nonostante i sistemi diagnostici forniti dalle case automobilistiche siano ormai giunti alla seconda o terza generazione. I “tecnici” – chiamarli meccanici è ormai riduttivo – devono quindi affidarsi anche al loro intuito e, nei casi più difficili, procedere a tentativi: da questo punto di vista, l’auto somiglia sempre più ad un PC. Non è per altro infrequente che il computer di bordo, in seguito ad un crash del software, debba essere riavviato. Tornando alla barzelletta iniziale, chi potrebbe più dire, oggi, che scendendo e risalendo dall’auto non si risolva il problema?
Purtroppo, insieme a bug e crash di sistema, il mondo delle autovetture deve cominciare a fronteggiare anche il problema dei virus. Proprio in questi giorni la società di sicurezza sudafricana Shaya Technologies ha confermato quanto segnalato poco più di una settimana fa da Kaspersky Labs: i computer di bordo di alcuni modelli di auto prodotte da Lexus sono state infettate da un worm che si propaga, via cellulare, attraverso una connessione Bluetooth. Stando a quanto affermato da Ian Melamed, principal consultant di Shaya, nei soli Stati Uniti le auto interessate dal problema sarebbero circa 150.000. L’esperto non ha tuttavia fornito alcun dettaglio sul virus in questione.
IBM ha predetto che, per il 2010, quasi tutte le auto in circolazione saranno basate sugli stessi chip: le maggiori differenze le si troveranno a livello software ma anche in questo caso la tendenza è una convergenza delle case automobilistiche verso un ridotto numero di sistemi operativi. Secondo alcuni esperti tale omogeneità di piattaforme, che in futuro permetterà anche alle auto di scambiarsi dati e informazioni, potrebbe favorire non poco la diffusione di codici malevoli. A quando la prima auto dotata di firewall e antivirus?