Roma – Si apre oggi (11 Aprile 2005) presso il WIPO (World Intellectual Property Organization – in italiano OMPI, Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) l’incontro IIM/1 – “Inter-sessional Intergovernmental Meeting on a Development Agenda for WIPO” – i cui lavori si concluderanno due giorni dopo, il 13 Aprile 2005.
La sigla anonima e il burocratese marcato non traggano in inganno: si tratta di un momento cruciale, un nodo gordiano in cui verranno dibattute molte delle questioni relative alla corretta gestione a livello internazionale della “Proprietà Intellettuale” poste sul tappeto negli ultimi mesi ed anni.
Cos’è il WIPO
La “Proprietà Intellettuale” riveste oggigiorno un ruolo preminente, non solo nell’economia dell’informazione propria dei paesi avanzati, ma anche nel contesto dei paesi in via di sviluppo – si pensi, per esempio, alla tutela della cosiddetta “conoscenza tradizionale”, assurta all’ onore della cronaca di questi ultimi tempi per via delle pretese di alcune multinazionali di brevettare, a scopo di sfruttamento commerciale nel settore alimentare o medicale, il codice genetico di specie vegetali del subcontinente indiano (esempio tra i tanti) le cui specifiche proprietà nutritive o curative erano da tempo note ai popoli indigeni.
La World Intellectual Property Organization (WIPO d’ora in poi) è:
“Una organizzazione internazionale dedita a promuovere l’uso e la protezione dei lavori (prodotti) dello spirito umano. Questi lavori – la proprietà intellettuale – stanno espandendo i confini della scienza e della tecnologia e arricchendo il mondo delle arti. Con il suo lavoro, il WIPO gioca un ruolo importante nel migliorare la qualità della vita, oltre che nel creare una vera ricchezza per le nazioni (…) Il WIPO è una delle 16 agenzie specializzate del sistema delle Nazioni Unite. Amministra 23 trattati internazionali aventi ad oggetto differenti aspetti della protezione della proprietà intellettuale. L’organizzazione conta 182 nazioni come stati membri”.
Al di là del tono apologetico della descrizione (tratta dal sito web dell’organizzazione stessa) si prenda nota che il WIPO è “una delle 16 agenzie (…) delle Nazioni Unite” (si veda anche l’ accordo ufficiale tra WIPO e Nazioni Unite) perché è da questo concetto di base che ha preso il via uno dei movimenti di riforma del WIPO più dirompenti degli ultimi anni.
Il WIPO, dunque, si occupa di gestire – tramite meccanismi procedurali che in questa sede non verranno enucleati nel dettaglio, dato che la documentazione relativa è comunque disponibile presso il sito dell’organizzazione – svariati trattati internazionali relativi alla gestione della proprietà intellettuale.
Ma io non sono un giurista, cosa me ne frega del WIPO?
Al di là della generica considerazione che ci si può anche non occupare di politica, ma la politica presto a tardi si occupa di noi, è opportuno ricordare che molte delle leggi che – in Europa e in Italia – regolano (e limitano) il mondo digitale sono il risultato diretto di trattati elaborati in sede WIPO.
Come esempio tra i più noti, la direttiva 2001/29/EC (EUCD – European Union Copyright Directive, anche nota come Direttiva InfoSoc) e l’annesso obbligo per gli stati membri dell’Unione Europea di implementare gli strumenti legislativi volti a sanzionare l’aggiramento (e in alcuni casi la mera pubblicizzazione degli strumenti che lo permettono) delle “misure tecniche di protezione” (TPM o “Technical Protection Measures”, i dispositivi o processi logici che regolano la copia, l’accesso e/o l’utilizzo di una determinata opera in forma digitale) sono il risultato di due trattati WIPO – il WCT, Wipo Copyright Treaty , e il WPPT, Wipo Performances and Phonograms Treaty (maggiori informazioni ed un’analisi dell’EUCD e delle implementazioni a livello nazionali sono contenuto nell’ analisi della Foundation for Information Policy Research e in quella del Berkman Center for Internet and Society ).
Allo stesso modo, la discussione in corso sul SPLT , Substantive Law Patent Treaty, potrebbe avere degli effetti dirompenti, se si considerano le forti pressioni che alcuni stati membri (tra cui gli Stati Uniti d’America) stanno applicando per ridurre o annullare, all’interno di questo trattato, le eccezioni alla brevettabilità; anche se nell’Unione Europea, a quanto pare, non abbiamo bisogno di un trattato internazionale per rendere legale la brevettazione del software, un avallo delle pratiche ad oggi illegali dell’EPO (European Patent Office) da parte di un trattato WIPO renderebbe ancora più tenui le speranze di affossare la brevettabilità dei programmi per elaboratore.
Gli esempi potrebbero proseguire.
In generale, dato il sistema globalizzato e interdipendente in cui viviamo, ogni cosa venga decisa al WIPO ha degli effetti concreti sulla legislazione europea ed italiana – se tali effetti saranno positivi o negativi è una domanda per rispondere alla quale occorre giocoforza interessarsi ed intervenire all’interno di quegli stessi meccanismi internazionali.
La dialettica intorno alla “proprietà intellettuale” (termine in sé aspramente contestato da più parti, sia per la sua genericità che tende a nascondere le specifiche differenze tra diritto d’autore, brevetti, marchi e altri istituti giuridici, sia per la supposta inapplicabilità del concetto di “proprietà” a beni e processi di natura non materiale) e ai relativi paradigmi gestionali che hanno caratterizzato le attività sia del WIPO che di altre organizzazioni nazionali e sovranazionali negli anni passati, è divenuta particolarmente accesa.
Da più parti si è puntato il dito verso l’atteggiamento del WIPO e di alcuni stati membri perché acriticamente a favore di una tutela forte (a volte asfissiante) e a senso unico della proprietà intellettuale, dimenticandone l’insita natura di reciprocità, fondamentalmente contrattuale nel senso politico del termine – la collettività concede all’autore, all’inventore o ad altro titolare dei diritti esclusivi relativi allo sfruttamento intellettuale, economico o meno, di un particolare bene (per esempio, nel caso del diritto d’autore, la facoltà quasi assoluta di decidere le modalità tramite cui un’opera dell’ingegno come un programma per elaboratore o un libro possono essere usufruite) riconoscendo che, se tali diritti esclusivi non esistessero, il soggetto beneficiario difficilmente impiegherebbe lo sforzo o effettuerebbe gli investimenti necessari per giungere alla creazione o alla scoperta di un particolare bene. Di conseguenza, tali diritti esclusivi hanno solitamente un limite temporale preciso, oltre a poter essere esercitati solo all’interno di un perimetro delimitato da una serie di diritti che la collettività mantiene. Al termine del periodo di esclusività concesso, l’opera dell’ingegno, l’invenzione o in generale il “bene intellettuale” torna ad essere della collettività, che ne può disporre come meglio crede – torna nel “pubblico dominio”.
Può risultare istruttivo, a questo proposito, consultare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo , in particolare l’art. 27 , laddove il “diritto (di ogni individuo) di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici” è posto prima del “diritto (di ogni individuo) alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore”. Come si diceva, contratto sociale e politico tra collettività e creatore/inventore, non mero diritto privativo ed esclusivo: questo è il concetto di base su cui le fattispecie specifiche delle leggi di proprietà intellettuale si basano – o si dovrebbero basare.
L’agenda per lo sviluppo: un nuovo obiettivo per il WIPO
Il WIPO è sempre stato, per sua natura, una istituzione fortemente globalizzata – nata proprio per regolare le norme in materia di proprietà intellettuale a livello transnazionale (alcuni suggerirebbero maliziosamente a livello sovranazionale, a sottolineare la natura poco democratica di alcuni processi decisionali dell’organizzazione) il WIPO si è dovuto confrontare via via con le realtà fortemente sbilanciate, in termini di ricchezza, opportunità, potenzialità di crescita dei propri stati membri – e in particolare di come le politiche di gestione della proprietà intellettuale applicabili a società ricche e a forte connotazione post-fordista non necessariamente siano le stesse che permettono a paesi e società in via di sviluppo di crescere e progredire.
Da tempo voci critiche hanno segnalato come le pratiche correnti all’interno del WIPO non solo non tenessero conto delle differenze tra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo, ma anzi contribuissero ad aumentare tale divario con atteggiamenti (e atti normativi) fortemente sperequativi. L’ accordo di cooperazione tra WIPO e l’ Organizzazione Mondiale del Commercio (OMP – nota anche come World Trade Organization, WTO) cooperazione specificamente incentrata sull’Accordo TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights – (accordo) sugli Aspetti Legati al Commercio dei Diritti di Proprietà Intellettuale) non ha fatto altro che dare maggior forza a tali voci. Il WIPO – si sostiene – sta diventando solo un’altra clava nelle mani di pochi stati già sviluppati, che vogliono imporre al resto del mondo delle politiche inique per sfruttare da un lato un enorme bacino di conoscenza trasformabile in “beni di mercato”, dall’altro intendono assicurarsi regole certe e vantaggiose (per loro) nel momento in cui decideranno di intraprendere relazioni commerciali al di fuori dei propri confini.
Ma qualcosa, come si suol dire, stava bollendo in pentola.
Il 30 Settembre 2004 il rappresentante della delegazione brasiliana prende la parola durante la 40a Assemblea Generale del WIPO e, a nome di Argentina, Bolivia, Brasile, Cuba, Repubblica Domenicana, Ecuador, Iran, Kenya, Sierra Leone, Sud Africa, Tanzania e Venezuela (i paesi che, insieme a Egitto e Peru, sarebbero poi divenuti noti come i “Friends of Developmente Agenda” o “Amici dell’Agenda per lo Sviluppo”) pronuncia quello che si può definire il “battesimo ufficioso” dell’Agenda per lo Sviluppo:
“Signor Presidente, all’alba del nuovo millennio, lo sviluppo rimane indubbiamente una delle sfide più grandi che la comunità internazionale debba fronteggiare. Ciò è stato ampiamente riconosciuto ai più alti livelli in vari consessi internazionali. Trovare le soluzioni alle preoccupazione e ai problemi che i paesi in via di sviluppo (…) hanno di fronte è una preoccupazione predominante della comunità internazionale, come l’adozione, da parte delle Nazioni Unite, dei “Millenium Development Goals” testimonia.
In qualità di agenzia specializzata delle Nazioni Unite, tutte le attività del WIPO devono essere guidate dai piu ampi impegni e risoluzioni del sistema delle Nazioni Unite.
(…)
Il tempo è giunto perché il WIPO, in qualità di agenzia specializzata delle Nazioni Unite, contribuisca sistematicamente a questa ampia discussione e inizi un processo per integrare pienamente la dimensione dello sviluppo in tutti i propri lavori”.
Non è dato sapere quali siano state le reazioni immediate del Signor Presidente, né dei rappresentanti degli stati membri.
Nel frattempo, una nutrita schiera di ONG, scienziati, accademici, professionisti, studenti, lavoratori – la “società civile” – aveva firmato la “Dichiarazione di Ginevra sul Futuro della Organizzazione Internazionale per la Proprietà Intellettuale” (in italiano qui )in cui, oltre ad appoggiare la richiesta del Brasile, si richiede con forza al WIPO di scegliere una strada precisa di fronte alla “crisi globale nella gestione della conoscenza, della tecnologia e della cultura” e di considerare con rinnovata attenzione le “innovazioni incredibilmente promettenti nel campo delle tecnologie dell’informazione, della medicina e di altri settori essenziali, così come all’interno dei movimenti sociali e dei modelli di business”, e di tener conto “(del) grande successo di campagne per l’accesso alla medicine contro l’AIDS, ai giornali scientifici, alle informazioni del genoma e ad altre basi di dati, e (degli) sforzi collaborativi per creare beni pubblici, come Internet, il World Wide Web, Wikipedia, Creative Commons, GNU Linux e altri progetti di software libero e aperto”.
Il 4 Ottobre 2004 l’Assemblea Generale del WIPO approva una mozione per “esaminare (…) la proposta di un gruppo di paesi in via di sviluppo di integrare in maniera più sistematica la dimensione dello sviluppo all’interno dell’intera attività del WIPO”.
Tale mozione (accettata formalmente da tutti gli stati membri il 5 Ottobre 2005) si concretizza nella convocazione , dall’11 al 13 Aprile 2005, di una serie di incontri intergovernativi e intersessione – ed eccoci finalmente al misterioso IIM o Inter-sessional Intergovernmental Meeting! – oltre che nella decisione, da parte del WIPO, di ospitare una serie di incontri e seminari nel corso dei mesi di aprile e maggio 2005; infine, viene deciso che il PCIPD (Permanent Committee on Cooperation for Development Related to Intellectual Property, Comitato Permanente sulla Cooperazione per lo Sviluppo relativa alla Proprietà Intellettuale) discuterà, nel corso delle sessioni del 14-15 Aprile 2005, le attuali direzioni e priorità del WIPO in materia di cooperazione allo sviluppo, con particolare riferimento alla “Agenda per lo Sviluppo”.
A voler essere ottimisti e fiduciosi nei meccanismi decisionali del WIPO e nell’amore per lo sviluppo globale che molti dei paesi membri sbandierano ad ogni pié sospinto (e ad ogni conferenza stampa sull’argomento) si potrebbe dire che la decisione del 5 Ottobre 2004 rappresenta una vittoria schiacciante per la coalizione di nazioni, organizzazioni non governativi e semplici cittadini che hanno lottato per introdurre una dimensione di equità all’interno del WIPO – dimensione, non dimentichiamolo mai, che per il WIPO rappresenta un dovere e non una concessione, in quanto parte del sistema delle Nazioni Unite.
In realtà – come era facilmente prevedibile – la strada dal 5 ottobre al 13 aprile si è rivelata insidiosa, densa di buche e disseminata di tranelli. E non andrà a migliorare.
Il 16 Febbraio, l’ufficio internazionale del WIPO convoca a Casablanca (Marocco) un incontro ristretto ad alcuni paesi membri, avente ad oggetto delle “discussioni informali” sul trattato SPLT (il Substantive Law Patent Treaty). All’incontro viene invitato, tra gli altri, il Brasile – cui però viene affidato il ruolo di presidente, il che limita sostanzialmente, a causa delle regole procedurali, le possibilità da parte di uno dei paesi promotori dell’Agenda per lo Sviluppo di “muoversi” liberamente e durante il convegno e assumere posizioni critiche durante le discussioni. Di fatto, il Brasile si dissocia nettamente dal documento finale dell’incontro. A stretto giro, gli “Amici dell’Agenda per lo Sviluppo” inviano al WIPO una dichiarazione in cui, oltre a dichiarare il proprio disaccordo per i risultati dell’incontro di Casablanca, ricordano che “un modus operandi inclusivo, trasparente e aperto è un elemento chiave dell’idea di rendere il WIPO e il sistema della proprietà intellettuale più rispondente alle necessità e agli interessi dei paesi in via di sviluppo (…) ciò è parte del concetto più ampio contenuto nella richiesta di una efficace (…) Agenda per lo Sviluppo all’interno del WIPO”. La vecchia pratica degli accordi bi- o multi-laterali, molto amata da alcuni stati quando si trovano in minoranza all’interno di assemblee allargate, non sta bene agli “Amici dell’Agenda per lo Sviluppo”.
Inoltre, all’inizio di Marzo, il WIPO comunica ufficialmente che gli incontri dell’11-13 e 14-15 Aprile sarebbero stati aperti soltanto alle ONG “ufficialmente accreditate” presso il WIPO medesimo – un processo che richiede molto tempo. Ciò ha di fatto escluso un ampio numero di organizzazioni della società civile con un forte interesse nei lavori relativi all’Agenda per lo Sviluppo, ma – forse quel che più conta – dotate dell’interesse e delle capacità per presentare dei punti di vista alternativi alle questioni in oggetto.
A questa mossa del WIPO – formalmente corretta, ma sostanzialmente poco in linea con lo spirito enunciato nella decisione plenaria del 5 Ottobre – segue la pubblicazione e l’invio a Kamil Idris, direttore generale del WIPO, di una petizione pubblica sotto forma di lettera aperta , dal titolo “Manifesto per la trasparenza, partecipazione, equilibrio ed accesso” (versione italiana qui ).
Grazie al lavoro di CPTech (Consumer Project on Technology) il WIPO ha quantomeno rilassato le regole relative al numero di membri per delegazione – in tal modo, un gran numero di attivisti potranno partecipare grazie alla disponibilità di organizzazioni come Electronic Frontier Foundation e CPTech , da tempo osservatori permanenti e ufficialmente accreditati presso il WIPO.
All’interno del WIPO si muovono interessi molto forti, che non hanno alcun interesse a vedere le idee alla base dell’Agenda per lo Sviluppo realizzarsi. Gli stati e le organizzazioni che invece credono nella possibilità di una gestione più equilibrata della proprietà intellettuale dovranno stare attente e non abbassare mai la guardia.
Il presente dell’Agenda per lo Sviluppo, ad oggi, si racchiude nelle proposte di discussione per l’IIM dell’11-13 Aprile avanzate dagli “Amici dell’Agenda per lo Sviluppo” (ovvero Argentina, Bolivia, Brasile, Cuba, Repubblica Domenicana, Ecuador, Egitto, Iran, Kenya, Peru, Sierra Leone, Sud Africa, Tanzania e Venezuela), dagli Stati Uniti , dal Messico e dal Regno Unito (la vicinanza nella frase non tragga in inganno – le proposte sono molto differenti tra loro) e nel lavoro di “lobbying”, di informazione e di supporto di tutte le organizzazioni e dei singoli che hanno lottato sino ad oggi per vedere realizzarsi dei principi basilari di equità e giustizia.
Il futuro è incerto. I risultati degli incontri dell’11-13 e 14-15 Aprile saranno la base di partenza per la discussione che avverrà durante la prossima assemblea generale del WIPO nel mese di settembre 2005.
Anche in previsione di questa assemblea, una coalizione di ONG e attivisti ha iniziato, con un incontro tenutosi a Ginevra il 3-4 febbario 2005, a lavorare ad una campagna volta a formulare un trattato per “l’accesso alla conoscenza” – l’A2K Treaty (Access To Knowledge Treaty). Ma questa è un’altra storia, che verrà raccontata in un altro articolo.
Andrea Glorioso
NOTA
Andrea Glorioso è un consulente indipendente. Attualmente lavora soprattutto per Media Innovation Unit , l’unità di ricerca di Firenze Tecnologia (azienda speciale della CCIAA di Firenze) dedicata alla ricerca, sviluppo e promozione di Software Libero, Contenuti Aperti, Reti Decentralizzate e Nuovi Media.
Risiede a Padova, ma vive tra treni, aerei e hotel. Se volete discutere con lui dei contenuti di questo articolo, scrivete a: andrea (at) digitalpolicy (dot) it. L’autore è del tutto inabile a seguire i forum web, quindi chiede cortesemente l’utilizzo della sana, vecchia e-mail per critiche, suggerimenti, proposte di finanziamento o quant’altro.
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