La musica vive senza Copyright

La musica vive senza Copyright

Lo dicono i sempre più numerosi autori che, tolti di mezzo gli intermediari tradizionali, spingono ciò che producono in rete, trasformando il processo creativo in una collaborazione a tutto campo. Ecco cosa sta emergendo
Lo dicono i sempre più numerosi autori che, tolti di mezzo gli intermediari tradizionali, spingono ciò che producono in rete, trasformando il processo creativo in una collaborazione a tutto campo. Ecco cosa sta emergendo


Roma – La musica alternativa (al copyright) esiste già, e prolifera ogni giorno di più. Aumentano, dunque, le etichette copyleft che pubblicano musica ed espongono sui loro scaffali virtuali. C’è di tutto: grunge, sperimentazioni, elettronica, campionamenti a gogo ma anche musica di protesta, impegno civile, qualità e, forse, più di un talento.

Le loro opere sono tutte lì, pronte per essere ascoltate en passant o scaricate (singoli ed album hanno sempre copertine e retro). La lotta quotidiana di artisti e produttori è contro copyright e sfruttamenti dai contorni diversi.

Lo sforzo è indubbiamente pregevole. Sembrano cose serie e dignitose. Una buona porta di ingresso è Copydown il portale attorno al quale si sono coagulate eterogenee realtà che hanno preso il via alla fine di novembre 2003 durante una invasione pacifica del Meeting delle etichette indipendenti (Mei) di Faenza . “Evento che troviamo discutibile sotto un’infinità di aspetti – dice Scarph, attivista di Copydown – le etichette “indipendenti” spesso sono schiave, passive del circuito delle major e determinate a sfruttare i musicisti e gli autori con le solite promesse e pretese monetarie. Spesso riproducono in scala minore gli stessi ricatti sulla “vendibilità” delle opere che animano i meccanismi delle grandi case di produzione e di distribuzione”.

Nasce con questo spirito il coordinamento (L)eft (produzioni musicali) che il 7 e 8 maggio scorsi si sono riuniti per la prima volta a Bologna: web-label, gruppi musicali, “cani sciolti” si sono coordinati, scambiati idee, hanno ragionato sui temi del no-copyright e del copyleft nel mondo musicale.

In quella occasione sono stati distribuiti DVD informativi, il (L)eft Survival Kit – sopravvivere nella jungla del music biz – un compendio per conoscere la legge in materia. Ma c’è anche il vademecum dell’autoproduzione con i consigli per creare i propri album sulla rete. A guardare l’agenda del collettivo ci si imbatte in una serie di appuntamenti per “favorire la libera circolazione delle idee, la condivisione di tutto ciò che fa cultura, di un nuovo modo di imparare, crescere, agire, nutrirsi”.

“Se questo progetto fosse nato per restare confinato in uno spazio virtuale, perderebbe tutto il suo spirito innovativo – spiegano da Anomalo , una delle tante case discografiche che aderiscono al progetto – il web resta il centro focale della nostra attività ma i concerti live rappresentano concretamente il punto di arrivo della nostra attività. L’obiettivo è fondamentalmente quello di far incontrare il pubblico con gli artisti che abbiamo prodotto e che andremo a produrre, di creare eventi e spettacoli live in tutta la penisola”.

Il live, dunque, è l’unica fonte di guadagno e occasione di sostentamento per le autoproduzioni che devono trovare altri canali alla circolazione “ufficiale”.

Nel loro viaggio quotidiano incontrano limiti alla circolazione del loro talento (eventuale) e delle loro idee (in musica), limiti creati proprio dal meccanismo di selezione (“non naturale”) delle grandi case discografiche. Dunque, perché sottostare al giudizio inappellabile di manager e regole di mercato, dicono gli “autoprodotti”, quando con la rete “possiamo comunque far passare il nostro messaggio attraverso la musica?”.
“L’autopirateria è la scelta che abbiamo fatto per distribuire i nostri cd – dicono da Virus4 – sono gratuiti, scaricateli, copiateli e diffondeteli il più possibile. A proposito: questa è una scelta ben ponderata, quindi abbandonate da subito l’equazione regalato=bassa qualità”.


“Nella configurazione dell’editoria digitale i ruoli tendono a confondersi – spiega Sergio Messina, portavoce del collettivo (L)eft – sia quelli di autore, editore ed etichetta che quelli, ben più salienti, di artista e ascoltatore. Nel nostro coordinamento alcuni sono editori/etichette, altri dei musicisti interessati a seguire le sorti della propria musica senza affidarla a terzi. Altri ancora sono dentro le webradio, uno strumento sempre più potente di propulsione della musica libera. Questo mondo -sostiene – non solo sta aumentando esponenzialmente, grazie alla diffusione e all’immediatezza della rete ma sta iniziando ad essere commercialmente appetibile, soprattutto per chi fa molti concerti, ma non solo. Per esempio – continua Messina – la recente apertura delle major verso alcune licenze di Creative Commons (palesata dalla concessione di brani di loro proprietà per la compilation CC di Wired) lo dimostra. E poi, col web, è inevitabile”.

Oggi dunque “la rivoluzione digitale suggerisce l’idea di un copyright variabile, elastico, che prenda atto del fatto che le idee, le storie, la musica, una volta pubblicate sono appunto pubbliche”. Ma siamo sicuri che non sia solo un modo per chi non riesce a “sfondare” di essere sul “mercato”? “L’entità del cambiamento indotto dal digitale è così potente da rendere inutili tutte e due queste parole tra virgolette – è ancora Sergio Messina che risponde – in una distribuzione digitale non esistono più le nicchie (come sa bene Amazon), quindi non serve “sfondare” per vivere di musica, e meno che mai serve un “mercato”. I mercati sono infiniti, su molti piani diversi, e ognuno gioca su quelli che crede. Io per esempio alcune cose le metto in rete mentre altre le metto su CD; altre ancora invece vanno prima per radio e poi, semmai, sul web. Alcune le suono dal vivo, e così via”.

Ma non tutta la musica deve essere gratis: anche per gli “autoprodotti” esiste un “giusto prezzo”. E come fanno a vivere? Che lavoro fanno i dissidenti del copyright?

“Ci sono molti artisti per i quali il ricavato dei CD si aggira intorno al 5% l’anno (il 95% dai concerti). A questi la musica converrebbe regalarla e fare qualche data in più”. Il 90 per cento di chi fa musica, invece, la fa in queste condizioni e lo fa sostanzialmente perché è una pratica che dà piacere, che permette di resistere psichicamente all’urto della colonizzazione lavorista su tutti gli aspetti della vita, ma anche di contrattaccare, riportando il godimento in una posizione centrale della vita quotidiana”.

I limiti tecnici? Ci sono ma si assottigliano ogni giorno di più.
Per quanto riguarda l’entusiasmo? “Non prevediamo un esaurimento dell’euforia per la buona musica prima del 25.358 dopo Cristo”. Se lo dicono loro. E siccome gli “autoprodotti” non peccano certo in coerenza, la gran parte dei loro lavori sono file.ogg, un formato audio che, per qualità e per dimensioni, può essere paragonato al dilagante Mp3. A differenza di quest’ultimo è completamente libero, open source, e senza diritti di brevetto. Per poterlo utilizzare sia gli utenti sia i produttori di decoder hardware e software non sono tenuti a pagare alcuna royalty. E’ compatibile con alcuni lettori (ma occorre scaricare il plug in) mentre l’ultima versione di Winamp legge i file.ogg senza problemi.

Per saperne di più su come operare su questi file ci da una mano Vilipendio mentre da qui si possono scaricare alcuni lavori. Questo è invece un motore di ricerca per le autoproduzioni.

Alessandro Biancardi

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Pubblicato il
27 mag 2005
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