Roma – Talmente piccole… da sfidare i colossi del duopolio tv. Tanto entusiasmo da creare una (piccolissima) alternativa e sperimentare nuove tecniche e linguaggi. Il nemico pubblico (ma anche privato) numero uno e quell'”arma di distrazione di massa che ammorba i popoli e li intorpidisce”. Insomma, è la vecchia cara tv – che continua a godere di ottima salute – il centro del bersaglio delle telestreet : un fenomeno tanto minuscolo quanto globale e dilagante. Una risposta all’incredibile mummificazione delle frequenze, assegnate nel lontano 1990 e regolate dalla legge Mammì che cristallizzava di fatto il duopolio Rai-Mediaset.
Eppure, abbattuto anche l’ultimo ostacolo legislativo – con la sentenza del Gip sul caso Disco VolanteTelestreet – è già pronta una proposta di legge , per far uscire alla luce del sole questi nuovi media , frutto del nostro tempo e delle contraddizioni delle nostre società.
Allora non sarebbe peregrino immaginare per le telestreet una nuova stagione di proliferazione.
Condizione necessaria: il “cono d’ombra”, in pratica la zona di calma piatta del segnale su una data frequenza. Qui è possibile inserirsi e trasmettere un segnale senza sovrapporsi di fatto al concessionario ufficiale della frequenza. I coni d’ombra sono migliaia e sono diretta conseguenza di ostacoli (edifici ma anche montagne). Fenomeno strano quello della tv che si fa giù in strada e si vede qualche metro più in su, nel salotto di casa (raggio d’azione max 1 Km).
Ma perché ci si imbarca in un’impresa del genere? Chi c’è dietro, quali realtà e verità mettono in luce? Quanto costa e cosa anima i promotori? Abbiamo girato le domande alle anime che danno vita ad Insutv , la tvstreet di Forcella , uno dei quartieri simbolo della “Napoli che grida: ?aiuto!'”.
Nata nel 2003, durante l’attacco all’Iraq di Saddam, per volere di cinque volenterosi, Insutv ha prodotto fra l’altro, la fiction di protesta “la Famiglia Pace”, narrazione ironica di una famiglia particolare impegnata a contestare la guerra.
Ci sono voluti tuttavia alcuni mesi per prepararsi alla prima trasmissione e per recuperare tutte le attrezzature. Il 20 febbraio 2004, le prime onde si librarono nell’etere partenopeo con un impianto di soli 4 watt . “Da allora – spiega a Punto Informatico Nicola Angrisano – la tv ha trasmesso, per 24 ore al giorno, audio-videoproduzioni proprie, i materiali d’archivio di NewGlobalVision , e tutte le autoproduzioni che sono giunte in redazione. Dopo alcuni mesi di esperienza e know how – continua il fondatore – la street-tv è passata ad un trasmettitore di 20 watt che colma a pieno il cono d’ombra disponibile, irradiando tutto il centro città partenopeo : da Capodimonte, ai Camaldoli, a corso Vittorio Emanuele passando per il centro storico in senso lato”.
Le lenti attraverso le quali si analizza la realtà sono quelle dell'”antirazzismo, antisessismo, antimilitarismo, l’ambientalismo e l’antifascismo” che costituiscono l’ossatura di un prodotto informativo e comunicativo “libero e senza censure”, assicurano. “I nostri programmi hanno sempre presente le istanze provenienti da movimenti, associazioni, gruppi artistici”, aggiunge il collettivo di Insutv, “I temi sono liberi e molteplici: lavoro, migranti, ambiente, esclusione sociale, videoarte, movimenti politici mondiali…”.
C’è poi la sempre attuale questione del diritto d’autore : un’altra battaglia che Insutv combatte quotidianamente, registrando i propri prodotti sotto licenza Creative Commons e facendosi dare in libera concessione i prodotti di terzi. Per avere un’idea del tipo di video che sono trasmessi si può consultare l’archivio di www.ngvision.org , sito partner del progetto telestreet, che è stato premiato proprio in questi giorni al Prix Ars Electronica di Linz.
Proprio su questo versante si registra un recente traguardo, arrivato dopo più di due mesi di lavoro: “Insutv è libera per sempre e quasi totalmente da Windows e il suo copyright, – spiegano a PI gli otto attivisti – oggi siamo in onda grazie ad una rete LAN di PC automatizzata e diretta da Linux . I software Debian, Soma, Mplayer ed altri, tutti open source, sono capaci di realizzare un palinsesto video quotidiano e di visualizzarlo automaticamente, ciò che Windows gestiva mediocremente, e sono addirittura in grado di essere guidati a distanza via web. Tutto questo è solo frutto d’ intelligenza e dedizione, non dei soldini. Il tutto, fra l’altro, in mani nemmeno troppo esperte, per cui penso proprio che in molti dovrebbero tentare”.
L’appuntamento con la presentazione ufficiale potrebbe essere quello del prossimo hack meeting del 17-18 giugno a Napoli.
E quanto costa una telestreet?
“2.500 euro per l’hardware: due pc non di ultima generazione, un amplificatore, un modulatore, un’antenna e qualche metro di cavo; – dicono non senza baldanza – qualche benefattore non è mancato. Per le spese ordinarie (circa 80 euro luce e banda larga) sopperiamo con l’autofinanziamento ma siamo contrari a pubblicità e sponsor”. Molto spesso, però, l’attenzione si concentra tutta nel lato attivo del progetto piuttosto che preoccuparsi dell’effettivo riscontro.
“Non abbiamo mai quantificato la nostra “utenza” – spiega ancora il gruppo di Insutv- anche perchè in linea di massima ci piace pensare a chi guarda la nostra tv come potenziale redattore-collaboratore-produttore, nell’idea che chiunque deve imparare a creare prodotti audiovisivi, entrare nei meccanismi dei mezzi di comunicazione di massa per capirli, cambiarli, distruggerli. Non abbiamo nessuna macchina dell’auditel e non ci interessa averla”.
E’ dunque un modo per far partire la tv dal basso e rendere quel diritto di accesso, tanto sbandierato, il più concreto possibile. A loro, invece, basta sapere che il numero dei televisori sintonizzati sulla loro frequenza sia costituita da una variabile compresa fra 0 e 30mila; il resto non conta e l’imperativo categorico rimane sempre lo stesso: “creare per comunicare”.
Per le stesse ragioni i guaglioni non hanno fin qui pensato, per esempio, allo streaming . “Ci sono vari ordini di problemi: i costi in tempo e denaro della banda larga e della configurazione e manutenzione del server streaming, il fatto che tutti hanno la tv e soprattutto perché la telestreet è nata per relazionarsi ad un territorio molto piccolo e imparare a capirne temi e linguaggi. Altrimenti si chiamerebbe webtv o tv satellitare, e si tratta di altro”.
Ma la gente come reagisce?
“Le persone che abbiamo incontrato nelle nostre uscite sono sempre state entusiaste dell’idea di una televisione di quartiere – risponde ancora Angrisano – si tenga presente, però, che noi lavoriamo in uno dei quartieri più degradati di Napoli; un quartiere in cui una ragazza quattordicenne è stata uccisa a colpi di pistola in pieno giorno. Un quartiere dove tutte le contraddizioni sociali esplodono ogni giorno con conseguenze devastanti da decine di anni. Tirare fuori le telecamere in questo contesto non è proprio come intervistare un negoziante di Oslo…”.
Il futuro di Insutv dipenderà allora anche dalla risposta che la legge vorrà dare alle numerose istanze di legittimazione di queste ed altre decine di telestreet.
“Potremo entrare a far parte di un modo nuovo di concepire i media – ipotizzano – che siano collettivi, organizzati dal basso e che rispondano realmente alle esigenze di chi li usa e non di chi ci guadagna. Altrimenti continueremo a fare quello che facciamo oggi: agire in semiclandestinità cercando di far sentire la voce di chi non ha il peso e il potere per entrare nei Porta a Porta e nei telegiornali ufficiali”.
Alessandro Biancardi