Washington (USA) – La giustificazione è sempre quella: combattere la diffusione in rete di immagini pedopornografiche. Il metodo è quello tipico: l’estensione all’online di una vecchia normativa. L’obiettivo è sempre lo stesso: contenere e controllare il più possibile il mercato “per adulti”. Le conseguenze sono le solite: i sostenitori dei diritti civili che si arrabbiano, qualche senatore che si esprime con parole più ardite del solito, molti siti del tutto innocenti che non intendono rischiare alcunché e decidono dunque di chiudere.
Tutto questo sta accadendo perché dal 23 giugno sono operative nuove procedure in precedenza confinate al mondo offline. In pratica tutti i siti che producono e diffondono immagini pornografiche in rete dovranno conservare per almeno 7 anni i dati personali di tutti gli attori coinvolti per la realizzazione delle loro scene. Si parla in particolare di nomi e cognomi, nomi d’arte, date di nascita e documenti dotati di fotografia di riconoscimento, il tutto associato ad ogni prodotto realizzato dai singoli attori. “L’accertamento dell’identità di ogni performer – si legge nelle regole vergate dal Dipartimento di Giustizia – è critica nel determinare e garantire che nessun performer sia un minore”.
Le procedure della legge 2257 si applicano a chiunque produca materiale pornografico, dove per produttore si intende chi “produce, realizza o pubblica qualsiasi libro, rivista, periodico, film, video, immagine prodotta al computer, immagine digitale, o fotografia o qualsiasi altro simile materiale, ed include la duplicazione, riproduzione o ridistribuzione di uno qualsiasi di questi materiali, ma non include la semplice distribuzione o qualsiasi altra attività che non riguardi l’assunzione, la gestione o la firma di contratti con gli attori di cui al materiale stesso”.
Questo, dunque, sembra assolvere gli spazi web che si limitano a distribuire certi materiali, sebbene lo stesso testo si contraddica ed indichi una potenziale responsabilità per chi ha comunque un “interesse commerciale” nella distribuzione delle immagini. Una vaghezza già presa di mira da diversi commentatori che potrà avere effetti pesantissimi: come noto una parte del marketing porno in rete si fonda su sistemi di “guadagno condiviso” che spingono moltissimi webmaster a pubblicare la pubblicità di questo o di quel sito potendo guadagnare qualcosa sulle entrate che così procurano ai produttori dei materiali. Sono invece esplicitamente esclusi provider, società di servizi internet, produttori di piattaforme per lo streaming o tutti coloro che più in generale si limitano ad una “mera distribuzione” dei contenuti hard.
Le nuove regole sono state vagamente emendate grazie al ricorso dell’associazione di produttori a luci rosse Free Speech Coalition : l’intervento della Coalition ha fatto sì che il Dipartimento di Giustizia abbia accettato di non denunciare prima del prossimo 7 settembre le imprese che aderiscono alla Coalition, mentre non ci sono garanzie per tutte le altre società. Tutto questo dovrebbe dare più tempo ai webmaster interessati dal provvedimento.
Ma il timore che la mano dura del Dipartimento si abbatta in modo indiscriminato su chiunque pubblichi materiali per adulti sta avendo gravissimi effetti di autocensura preventiva . Non solo molti siti web stanno modificando le proprie pagine in modo che non appaiono termini talvolta associati a contenuti di pornografia infantile (come “teen” o “young lady”) ma altri hanno proprio deciso di chiudere i battenti, visto che ogni violazione alle nuove regole può comportare fino a cinque anni di carcere .
In questo senso già si sono mossi quelli di rotten.com che gestiscono ratemyboner.com , sulla cui home page ora appare un comunicato dal titolo “Censurato dal Governo”. “Ciò che qui veniva pubblicato un tempo (…) è stato reso retroattivamente illegale dal Governo americano, in un attacco unilaterale all’industria del porno”. “Questo – prosegue la nota – rappresenta la più pesante aggressione alla libertà di espressione da quando passò il CDA”, il riferimento è al Communications Decency Act abbattuto nel 1998 dopo una lunga e durissima campagna dentro e fuori dalla rete e seguito da un’altra legge, il Child Online Protecion Act , bocciata nel 2000 . “Le nuove norme – conclude la nota – sono state promulgate da Alberto Gonzales, procuratore generale degli Stati Uniti scelto da George Bush: se hai votato Bush, questo è colpa tua. Se pensi che questo paese sia libero, sbagli malamente. Nessuna nazione è libera se è governata da integralisti religiosi”.
Ma parole di sconforto e rabbia si diffondono ovunque. Sul network di gay.com , probabilmente il più importante riferimento online della comunità omosessuale, si invitano i partecipanti a protestare in massa contro la scelta di Washington. Gay.it , che aderisce al network di Gay.com, ha fatto sapere di dover temporaneamente sospendere ogni foto classificata “per adulti” in quanto visibile “anche negli Stati Uniti” e “anche se siamo in disaccordo con questa nuova legge”. Ma se Gay.it risolverà presto il problema per gli utenti italiani, Gay.com ha già annunciato che non accetterà più dai propri iscritti fotografie esplicite. Gay.com in realtà si spinge più in là e ha intenzione di vietare qualsiasi possibile richiamo alla masturbazione, l’uso di cartoni animati o fumetti a contenuto esplicito, fotografie di semplice nudo che ritraggano più di una persona e via dicendo.
“Nelle sole prime 13 ore da quando queste nuove regole repressive sono state attivate – ha dichiarato Will Doherty, direttore esecutivo dell’associazione pro-libertà digitali Online Policy Group – abbiamo già visto un effetto preoccupante sulla pubblicazione online di immagini sessualmente esplicite e su persone che usano scambiare le proprie immagini senza alcun profitto su siti a contenuto sessuale”.
In linea generale l’industria si sta ristrutturando e da qui al 7 settembre è assai probabile che una gran quantità del porno in rete, proveniente in modo massiccio dagli Stati Uniti, venga diffuso in modo assai diverso da ciò che è stato finora . Non è probabilmente un caso che nei giorni scorsi Yahoo! abbia annunciato la chiusura di una quantità di chat room, tutte quelle create dai propri utenti, ritenute potenzialmente pericolose a vario titolo per i minori, vuoi per la presenza di certe foto o argomenti vuoi per la circolazione su certe chat di soggetti considerati pedofili.