I gravi (o presunti tali) problemi delle CC

I gravi (o presunti tali) problemi delle CC

di Andrea Glorioso - Licenze Creative Commons sotto accusa: qualcuno manovra nell'ombra? Personaggi non del tutto trasparenti? Struttura verticistica? Ma quanto sono fondate queste accuse?
di Andrea Glorioso - Licenze Creative Commons sotto accusa: qualcuno manovra nell'ombra? Personaggi non del tutto trasparenti? Struttura verticistica? Ma quanto sono fondate queste accuse?


Roma – Nelle scorse settimane, mentre girovagavo per la blogosfera italiana, mi sono cadute sotto gli occhi delle critiche – alcune piuttosto significative – alle licenze Creative Commons . Esemplificativo, in questo senso, mi pare l’intervento di “Settolo” su Settoblo , intitolato – appunto – “I gravi problemi delle Creative Commons”; a sua volta ispirato da un altro intervento di ” bobregular ” su soluzioni.splinder.com e dal dibattito che ne è seguito.

Sostanzialmente, i punti principali paiono essere cinque:

– la non reattività di Creative Commons (non ho ben capito se ci si riferisce all’organizzazione statunitense o ad altro) di fronte alle critiche che sono state rivolte;
– l’imposizione di una struttura verticistica rispetto alle varie comunità di simpatizzanti che si sono create nel mondo, con particolare riferimento al supposto “furto di potere” operato da Creative Commons nei confronti dei “fondatori” dell’iniziativa italiana;
– l’ipotesi che un gruppo non meglio specificato di multinazionali vogliano favorire l’utilizzo di licenze Creative Commons per creare un archivio mondiale da cui attingere al fine di uno sfruttamento commerciale delle altrui opere;
– collegata al punto precedente, una differenza sostanziale tra la dicitura del “commons deed” (il testo “leggibile dagli esseri umani”, come è ironicamente definito dagli stessi creatori delle licenze CC) e il testo vero e proprio (“leggibile dai giuristi”) delle licenze CC “non commercial” nelle sue varie versioni (BY-NC, BY-SA-NC, BY-ND-NC); tale differenza potrebbe indurre – questa la critica – alcuni autori a scegliere una licenza CC con clausola “non commercial” perché nel “commons deed” leggono che è vietato qualsiasi utilizzo a scopo commerciale, condizione che nel testo legale diventa un divieto per attività a scopo “prevalentemente commerciale”;
– collegata al punto tre, la presenza, all’interno del “board” di Creative Commons, di Joichi Ito, con particolare riferimento ai legami – relativi a degli appalti di ricerca e sviluppo – tra quest’ultimo e l’esercito statunitense.

C’è indubbiamente di che restare perplessi.

Chi scrive non fa parte di Creative Commons, ma ha collaborato a lungo e tuttora collabora con alcuni suoi membri, in Italia e all’estero. Ritengo giusto contribuire con un punto di vista alternativo all’intera questione – o meglio, alle varie questioni sollevate – per evitare che il “venticello della calunnia” o il puro e semplice rimbalzare incontrollato di voci, controvoci, supposizioni e “si dice che” danneggi un progetto tra i più interessanti e coraggiosi cui mi è capitato di assistere negli ultimi anni.

Sia ben chiara una premessa: il progetto Creative Commons è criticabile, né più né meno di qualsiasi altra attività umana. Anzi, mi spingo ad affermare che personalmente provo molto piacere nel leggere tali critiche – per quanto preferirei che dietro ci fosse un minimo più di riflessione e di verifica, che spesso aiuta ad evitare imbarazzanti quanto poco efficaci dietrofront – perché se partiamo dall’assunto che nulla è perfetto, l’assenza di opposizione non può che significare assenza di interesse. E questa sarebbe veramente la morte per Creative Commons.

Per quanto riguarda il primo punto (la scarsa reattività di Creative Commons alle critiche sollevate) non ho abbastanza dati per giudicare il caso concreto. Mi limito ad osservare che, nei limiti del tempo a disposizione, ho sempre ricevuto la disponibilità a discutere eventuali problemi, sia dagli Stati Uniti che nei paesi facenti parte del progetto iCommons – il che, naturalmente, non significa che Creative Commons debba essere d’accordo con le osservazioni mosse. Sia come sia, a volte ho l’impressione che manchi una corretta percezione delle dimensioni ridotte, in termini operativi, del progetto Creative Commons, nonché del numero di attività che i suoi membri “ufficiali” devono seguire quotidianamente – oltre agli impegni esterni al progetto, che spesso non sono sacrificabili. Ciò, unito al desiderio di rispondere in maniera precisa e puntuale, porta inevitabilmente ad una reattività minore rispetto a quella del blog-commentatore medio (senza offesa per la categoria, beninteso).


L’imposizione di una struttura verticistica – sempre che il termine “imposizione” rispecchi fedelmente una situazione in cui nessuno è obbligato a fare alcunché, non avendo Creative Commons una capacità coercitiva in senso proprio – riflette, sia pur in modo a mio parere distorto, una realtà. Creative Commons non ha mai fatto mistero di voler mantenere uno stretto controllo sulla vita e l’evoluzione delle licenze CC, nonché sull’operato di tutte quelle entità – come per esempio le istituzioni che fanno parte del progetto iCommons – che possono essere ricondotte in forma ufficiale a Creative Commons medesima.

Tale atteggiamento è sicuramente criticabile, ma personalmente lo trovo comprensibile. Né mi pare fondamentalmente diverso dal modo in cui altre associazioni od entità, come per esempio la Free Software Foundation o la Open Source Initiative , gestiscono le proprie attività. La critica costruttiva è sempre un bene; ma nessuno, e sicuramente non Creative Commons, obbliga chiunque altro ad una collaborazione le cui modalità risultino, anche dopo una riflessione sui motivi che le giustificano, troppo pesanti o del tutto inaccettabili.

Peraltro, va ricordato che il progetto Creative Commons è molto giovane ed è dunque più che plausibile che l’impostazione più o meno verticistica varierà nel corso della sua vita, anche sulla base delle osservazioni ricevute. Con riferimento all’Italia, mi pare comunque che un’apertura sostanziale ci sia, come testimoniano sia gli incontri che a cadenza regolare si sono tenuti a Torino, volti a discutere gli aspetti salienti del progetto, sia la possibilità di creare ” gruppi locali ” sul territorio italiano.

Per quanto riguarda il terzo punto – che un fantomatico gruppo di “poteri forti” voglia costruire una sorta di archivio di materiale liberamente utilizzabile per i propri loschi fini – confesso di trovarmi spiazzato. Mi sfugge infatti perché mai questi presunti “poteri forti” dovrebbero preoccuparsi di mettere in piedi un progetto come Creative Commons quando hanno a disposizione – e questa volta parliamo di poteri forti reali e non virtuali – strumenti legali, politici ed economici per produrre o comprare (e mi fermo qui per amor di carità) tutto il materiale di cui possono aver bisogno.

Ora, ammetto che lo scienziato politico che c’è in me prova sempre un certo brivido, una sorta di fremito giovanile ogni volta che all’orizzonte si profila l’ombra di un complotto, di manovre arzigogolate e occulte, di doppi giochi. Ma dal complotto al complottismo, se non alla vera e propria paranoia, il passo è ahimé piuttosto breve. Visto e considerato che Creative Commons – come associazione – non ha di per sé alcun ruolo attivo, al di là dell’aver elaborato dei modelli di licenza, all’interno dei rapporti che derivano dall’utilizzare queste stesse licenze (“Creative Commons non è parte della presente Licenza e non dà alcuna garanzia connessa all’Opera”) davvero mi sfugge il senso della critica.

Sul fantomatico – e molto, forse troppo, strombazzato – problema della differenza tra il “commons deed” e il testo legale della licenza relativamente alla clausola “non commercial”, mi limito ad una osservazione e ad un riferimento.

L’osservazione è che il “commons deed” di ciascuna licenza recita:

Questo è un riassunto in linguaggio accessibile a tutti del Codice Legale (la licenza integrale).

e che è altresì presente, nella pagina del “commons deed”, un link chiamato “limitazione di responsabilità”. Cliccandolo, appare una finestra in cui si legge che:

Il Commons Deed non è una licenza. E’ semplicemente un utile riferimento per capire il Codice Legale (ovvero, la licenza completa), di cui rappresenta un riassunto leggibile da chiunque di alcuni dei suoi concetti chiave. Lo si consideri come un’interfaccia amichevole verso il Codice Legale sottostante. Questo Deed in sè non ha valore legale e il suo testo non compare nella licenza vera e propria.

L’associazione Creative Commons non è uno studio legale e non fornisce servizi di consulenza legale. La distribuzione, la pubblicazione o il collegamento tramite link a questo Commons Deed non instaura un rapporto avvocato-cliente.

Incidentalmente, l’ultimo paragrafo della limitazione di responsabilità chiarisce anche perché a certe domande Creative Commons non risponde e non risponderà mai.

Ora, fermo restando che nessuno nasce imparato, che sbagliando si impara e via discorrendo, mi pare abbastanza comprensibile che il “commons deed” non può e non vuole essere considerato come il testo a cui far riferimento qualora si decida di utilizzare una licenza CC per la propria opera e si debba valutare con precisione quali clausole includere – o, al limite, se non sia meglio utilizzare un’altra licenza tout court.

Il riferimento è all’ intervento inviato – a titolo personale e a puro scopo di discussione – più di un mese fa sulla lista (pubblica) di Creative Commons Italia dall’avvocato Massimo Travostino, uno dei membri del gruppo di lavoro che ha effettuato l’adattamento delle licenze CC alla legislazione italiana. Invito tutti i lettori a consultare l’intervento nella sua interezza.


Infine – ciliegina sulla torta – abbiamo i legami tra Joichi Ito, che siede nel “board” di Creative Commons, e l’esercito statunitense.

Anche qui, come per le ipotesi di massonerie pluto-giudaiche dedite allo sfruttamento di ignari autori per i propri loschi fini, sono rimasto alquanto spiazzato. Per due ragioni, una concettuale, l’altra operativa.

Dal punto di vista concettuale mi chiedo se chi avanza questa critica stia scrivendo su una tavoletta d’argilla. Poiché comunque la critica in questione è apparsa su Internet, devo a malincuore far notare che questo potente e meraviglioso strumento nasce (anche) grazie a cospicui finanziamenti del governo statunitense. Finanziamenti a scopo militare.

Un’eccezione? Forse. Però anche il computer che utilizziamo nasce (anche) grazie a finanziamenti e ricerche di natura militare. Così come una larga parte della tecnologia che, giorno dopo giorno, ci rende la vita più semplice.

Sia ben chiaro: non voglio assolutamente sminuire o banalizzare chi compie una scelta molto personale – e al tempo stesso molto politica – relativamente ai propri consumi, prediligendo un “produttore” piuttosto di un altro in base anche al relativo comportamento su questioni che stanno particolarmente a cuore alla persona che compie la decisione.

Tuttavia, trovo forzata e forzosa un’associazione così netta tra le attività di una persona che fa parte di – non controlla in maniera esclusiva, si badi bene – un’associazione e le attività dell’associazione stessa. Soprattutto considerando i risultati pratici che tale associazione realizza e gli obbiettivi che si pone.

Dal punto di vista operativo, mi è assolutamente ignoto in che modo le attività di Joichi Ito, pur se comprendessero lo squartamento di bambini e il traffico di organi, possano rilevare sull’utilità pratica delle licenze Creative Commons. Per dirla in soldoni: le licenze CC rispondono alle tue esigenze? Usale. Il fatto che una persona facente parte dell’associazione che ha scritto tali licenze – donandole alla collettività – agisca in modo non conforme ai miei dettami etici nulla toglie al fatto che proprio tali licenze possano risultare uno strumento utile per il raggiungimento dei miei obbiettivi e per il soddisfacimento dei miei dettami etici.

Chiudo questo lungo articolo, ringraziando Punto Informatico per la sua gentile ospitalità, i lettori per la loro pazienza e, last not least , coloro che hanno criticato le licenze Creative Commons per le loro critiche – che aiutano sempre e comunque a riflettere, a rimettersi in gioco e a non cullarsi sugli allori.

Andrea Glorioso

Andrea Glorioso è un consulente indipendente (il suo CV è disponibile ). Attualmente lavora soprattutto per Media Innovation Unit , l’unità di ricerca di Firenze Tecnologia (azienda speciale della CCIAA di Firenze) dedicata alla ricerca, sviluppo e promozione di Software Libero, Contenuti Aperti, Reti Decentralizzate e Nuovi Media. Risiede a Padova, ma vive tra treni, aerei e hotel. Se volete discutere con lui dei contenuti di questo articolo, scrivete a: andrea (at) digitalpolicy (dot) it.

LICENZA
Questo articolo è Copyright (C) 2005 Andrea Glorioso ed è rilasciato sotto una licenza Creative Commons ” Attribuzione – Condividi allo stesso modo “.

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Pubblicato il
25 lug 2005
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