Roma – Qualche giorno fa è passata, quasi sotto silenzio, una polemica splendidamente inutile. L’operatore telefonico Tre ha annunciato alla propria clientela la possibilità di acquistare un film di prima visione, “The interpreter” con Nicole Kidman, per il proprio telefono cellulare. L’idea di pagare 9 euro per una anteprima cinematografica sul cellulare mostra qualche tratto demenziale ben sottolineato da Michele Serra su Repubblica ( “Un film sul cellulare è come quei barattoli di vetro con la scritta ?aria di alta montagnà: un gadget per buontemponi.” ). La reazione di alcune sale cinematografiche che hanno deciso di interrompere per protesta la proiezione della medesima pellicola lamentando una violazione degli accordi di esclusiva, è, se vogliamo, altrettanto discutibile.
Come scrive giustamente Luca de Biase sul suo blog: “Il tema vero non è la concorrenza che il microschermo del cellulare può fare alle sale. Il tema è la concomitanza dell’uscita di un film su diverse piattaforme. Le finestre temporali che hanno salvaguardato artificialmente le sale, differendo le uscite dei dvd e poi della tv, non stanno più in piedi a causa dello scambio gratuito di film online appena usciti. Le finestre saltano”.
Le finestre saltano. Si vanno moltiplicando i canali distributivi. Fra questi, come è ovvio, alcuni funzioneranno ed altri no. Dentro una dinamica del genere, che non riguarda certamente solo la distribuzione cinematografica ma che interessa tutta la comunicazione in generale, oggi è possibile porsi in due sole, differenti posizioni. La prima è quella secondo la quale il rapporto fra offerta del mercato e preferenze dell’utenza indicherà la strada, selezionando i canali distribuitivi e le modalità di fruizione dei contenuti. La seconda, che le cose non stiano così e che il mercato abbia derive ben più complesse che richiedono talvolta una qualche forma di regolamentazione. E che, soprattutto esistano contenuti e contenuti.
Guardiamo la cronaca di questi giorni.
Marco Tronchetti Provera , presidente di Telecom Italia, ha confermato in alcune recenti interviste che il business telefonico su rete fissa e mobile, come accade un po’ in tutto il mondo, è destinato a contrarsi. L’attenzione di Telecom verso il traffico dati, inteso come prossima fonte di introiti alternativi rispetto alla semplice vecchia funzione di intermediari della comunicazione, ha consigliato così l’ex monopolista di rivolgersi con maggiore attenzione verso la distribuzione dei contenuti. In questo quadro di ristrutturazione aziendale si inquadra la notizia di questi giorni della scomparsa del portale Virgilio che sarà opportunamente sostituito con un altro portale che prenderà il nome di Alice e che diventerà l’interfaccia attraverso la quale vendere contenuti alla propria clientela. Dal “bello di internet”- hanno osservato in molti – alla “bella di Internet”. E soprattutto: da Virgilio gratuito ad Alice a pagamento.
Per fare capire meglio quali siano le aspirazioni prossime venture di Telecom, il suo direttore dei contenuti broadband Ramon Grijuela ha usato un esempio molto chiaro: “Vogliamo essere – ha affermato alla riunione del Internet Advertising Bureau Italia qualche giorno fa – i concorrenti di Blockbuster”.
Torniamo un attimo alle due opzioni di cui dicevo poco fa. Di fronte ad una affermazione simile, alla discesa in campo di Telecom, l’Internet Provider di oltre 4 milioni di italiani broad band, nel luccicante mondo della fornitura di contenuti (iniziata in realtà già da qualche tempo con il portale Rosso Alice) noi, utenti della rete internet con minime (per non dire nulle) aspirazioni a farci inviare in streaming al nostro IP il calcio, i film ed altre amenità, abbiamo – mi pare – solo un paio di possibilità. La prima è una alzata di spalle: ci disinteressiamo alla cosa immaginando, a torto o a ragione, che l’iniziativa di Telecom avrà il successo che merita (molto o poco che sia). Facendolo, restiamo fiduciosi nelle dinamiche del mercato. Per dirla semplicemente: se il mercato chiederà connettività di qualità e basta, Telecom e gli altri provider saranno lì a fornircela perché è loro interesse farlo. Se gli utenti invece dimostreranno di gradire la IPTV e le altre opzioni di inscatolamento di contenuti televisivi dentro la nostra linea adsl, queste saranno, nostro malgrado, le priorità.
Un campanello di allarme: leggiamo in giro cosa sta accadendo a margine dei continui aumenti di banda dell’adsl. Da un lato Telecom è accusata di rendere difficile la vita agli altri ISP (nulla di nuovo insomma) ostacolando per quanto possibile le offerte adsl degli altri operatori, dall’altro, per ammissione di molti tecnici Telecom, anche le connessioni Alice di Telecom saranno di fatto utilizzabili a velocità vicine a quelle massime annunciate quasi esclusivamente all’interno della rete Telecom, nell’ambito dei progetti di streaming audio-video dell’operatore. Esiste insomma un rischio teorico che Internet venga sopraffatta da Blockbuster poiché gli interessi economici del traffico dati dentro la rete proprietaria degli ISP (un traffico profumatamente pagato dal cliente) sono infinitamente superiori a quelli legati al semplice accesso flat alla rete.
Ecco affacciarsi il secondo scenario di cui parlavo poco fa: il mercato da solo non basta a garantirci passi in avanti rispetto alla nostra essenza di “esseri collegati”. Il moltiplicarsi dei canali è inevitabile e certamente benvenuto ma nel caso specifico di canali che garantiscono un valore aggiunto in termini culturali e di conoscenza, di comunicazione e condivisione, come per esempio il semplice accesso alla rete Internet, è necessario ed anzi molto urgente, immaginare alcune forme di tutela esterne al mercato. Impedire a Tre di sperimentare e di vendere le proprie prime visioni cinematografiche sul cellulare è una sciocchezza (anzi dal mio punto di vista 9 euro sono pochi per un servizio del genere); nello stesso tempo, chi ha titolo per farlo (il Ministero delle Comunicazioni e quello della Innovazione, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed il Parlamento stesso) dovrebbero riportare in fretta in primo piano il concetto di servizio universale, elevandone le caratteristiche tecniche minime, in relazione al sopravvenuto sviluppo tecnologico. Perché non possiamo consentire che gli ISP arrivino ai nostri computer con flussi proprietari a 4 megabit (o 6 o 12) mentre i medesimi gestori della rete mantengano nei nostri confronti obblighi di connettività limitata a 56 kb. La nostra porta verso il mondo libero deve rimanere aperta e ben spalancata.
Come dire: cari operatori delle TLC, volete diventare le televisioni dei futuro? Vi sentite i nuovi profeti del “quadruple play”? Sappiate che non potrete farlo a discapito dei servizi essenziali che offrite.
In Italia si fa ancora troppo poco per consentire ai piccoli comuni tagliati fuori dai programmi commerciali di Telecom di essere raggiunti dalla larga banda e si fa ancora meno per costruire attorno all’accesso a Internet una specie di cuscino di salvataggio che garantisca un pacchetto minimo di tutele tecnologiche a chi ogni mese corrisponde un canone “solo” per potersi collegare alla rete. Paradossalmente l’atteggiamento del Ministro della Innovazione in questi anni è stato quello di fiancheggiatore dei progetti legati ai contenuti che Telecom anche oggi dichiara di voler mettere al centro del proprio di business futuro. Un Ministero che si preoccupa della qualità dei contenuti da parte dei gestori della rete di accesso a Internet in Italia è già di per sé una cosa curiosa: che questa preoccupazione sia prioritaria rispetto alla tutela del diritto alla comunicazione dei cittadini è invece per lo meno paradossale.
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