Roma – Due piccoli episodi che riguardano il mondo dell’informazione accaduti nei giorni scorsi e dei quali si è molto parlato in rete, ci aiutano a tentare qualche considerazione sugli annosi rapporti fra blog e giornalismo. Riassumo i fatti, che hanno scatenato come al solito violente discussioni. Business Week pubblica un articolo sull’ennesimo caso di censura operato dal governo cinese nei confronti di uno dei sistemi di comunicazione più utilizzati in rete, il software di telefonia su IP Skype. Secondo le informazioni raccolte dal settimanale economico americano il governo cinese, come già fa per siti web, enciclopedie online e motori di ricerca, applicherebbe una sorta di filtro alle comunicazioni testuali effettuate attraverso il sistema di messaging di Skype. Un ennesimo tassello di quella barriera censoria che il governo di Pechino ha imposto, spesso in collaborazione con aziende tecnologiche occidentali, allo sbarco di Internet nel proprio paese. Accade che Vittorio Zambardino legga l’articolo e decida di dedicare alla questione la propria rubrica tecnologica su Repubblica.it. Solo che il giornalista, il quale combatte da tempo sul suo blog una strenua battaglia polemica sulla qualità della informazione professionale e sulla sterilità dei blog italiani quando scimmiottano il giornalismo, scrive nel suo pezzo che la Cina ha deciso di censurare le comunicazioni vocali (e non quelle di testo) che avvengono attraverso Skype. Non solo: per ragioni divulgative, per spiegare meglio ai propri lettori di cosa si tratti, Zambardino si inventa “un miagolio tecnologico” che coprirebbe in tempo reale ogni parola proibita fra interlocutori che discorrono dei fatti loro su Skype in Cina. Tu dici “democrazia” o “autonomia” o “Taiwan” o “corruzione” ( qui un elenco di 1041 termini che la Cina starebbe filtrando) e dall’altro capo del filo ti si risponde, invariabilmente, “miao”.
A questo punto, quando il giornalista si accorge della inconsistenza della felina metafora decide di rimuovere l’articolo e, con un gesto che certo non è la norma nell’ambito giornalistico online (tantomeno su carta), pubblica una errata corrige in fondo alla propria rubrica nella quale spiega e corregge l’errore.
La notizia parrebbe finita qui e la morale non meriterebbe un lungo articolo: siamo umani, ci capita sovente di sbagliare (magari in qualche caso come questo eccedendo anche in una certa dose di compiaciuto desiderio di infiorare la notizia). Invece, per una qualche congiuntura astrale sfavorevole, la storia che raccontiamo oggi non finisce con la rimozione dell’articolo e la rettifica.
Perché giusto nelle stesse ore sul Venerdì di Repubblica, altra propaggine del Gruppo l’Espresso, uno dei vicedirettori del quotidiano, Paolo Garimberti, decide di dedicare il proprio editoriale settimanale proprio alla contrapposizione ormai datata ed artificiosa fra giornalismo e blogging. L’articolo si intitola: “Blog e giornalismo: maneggiare con cura”. Non che Garimberti abbia novità fenomenali da portare ad un dibattito che pare fermo e sempre uguale da almeno due anni. Il punto di vista è infatti quello mille volte ascoltato: da una parte c’è il giornalista buono, dotato di professionalità tempo e strumenti (il controllo delle fonti per esempio) per rendere un buon servizio di verità alla informazione, dall’altro la platea dei “maledetti blogger” che possono al massimo aspirare a giocherellare con le notizie e con i pettegolezzi ma che mai potranno, per loro stessa caratteristica, essere attori nel panorama informativo.
Scrive Garimberti al proposito: “Passi quando si tratta di un pettegolezzo. Ma quando pretende di assurgere a dignità di notizia, allora il problema diventa serio. Perché per il blogger non c’è alcun caporedattore che possa chiedergli se aveva verificato la sua fonte, nessun concorrente che possa dare una versione diversa dei fatti: che sono, con tutti i limiti, la garanzia di un minimo di check and balance che nel giornalismo comunque esiste.”
Il problema della “dignità della notizia” è effettivamente un problema serio. Così siamo costretti a tornare ai gatti che censurano le comunicazioni vocali in Cina.
Dopo poche ore dal suo essere comparsa sul web, la news di Vittorio Zambardino ha già trovato vasta eco. Solo su Google News sono elencati una decina di articoli (fra i 250 siti che Google indicizza) che riportano con dovizia di particolari la curiosa faccenda della censura gattesca. Nelle ore successive a quasi nessuno importerà (unica eccezione Zeus News ) di dar conto della rettifica di Repubblica.it. Il mitico controllo delle fonti poi pare essere pratica moltissimo citata ma assai poco messa in atto, visto che il sito web del TG5 , quello de Il Giornale e chissà quanti altri autorevoli esponenti del mondo della informazione “certificata” riportano ancora oggi, prendendola per buona, la faccenda dei miagolii censuratori, facendola oltretutto propria senza alcuna citazione della fonte. Esattamente come fanno un discreto numero di blog. I quali però, nel caso specifico, hanno un indubbio vantaggio: sono in genere luoghi aperti di conversazione. La grande maggioranza dei lettori dei blog nei quali si trattano questioni legate alla informazione sanno oggi che quella della miao-censura è una balla, i lettori di TGcom e de Il Giornale.it no.
C’è una lezione che è possibile trarre da questo piccolo episodio così come da molti altri simili già accaduti in passato? Per conto mio c’è, anzi ce ne sono due. La prima è quella della necessità di abituarsi all’inevitabile. E l’inevitabile non è tanto che i blogger prendano il posto dei giornalisti (come va ripetendo con toni apocalittici e pochissimo costrutto Beppe Grillo da qualche tempo, magari contribuendo lui stesso a scatenare reazioni giornalistiche scomposte come quella di Garimberti) ma quanto il fatto che la comunicazione si sta spostando sempre più dal proclama alla conversazione. Tutti coloro i quali sono abituati ad esprimersi ex-cathedra sui giornali e sugli altri media, hanno ancora poco tempo per rendersi conto che ciò su Internet, ambiente verso il quale l’informazione sta migrando molto velocemente, non sarà più possibile. E più che una sciagura legata alla presenza dei “maledetti blogger” sarà un vantaggio per tutti ed anche per l’informazione stessa. Che potrà finalmente selezionare per reali competenze, meriti e capacità di ascolto la categoria dei professionisti che ogni giorno portano nelle nostre case le notizie. La seconda è che eventi del genere, nel loro piccolo, raccontano meglio di qualsiasi parola quale sia il reale livello giornalistico medio di molta informazione professionale italiana.
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