Roma – Fino a solo pochi anni fa, guardavamo con eccitazione alle allora incredibili possibilità del mondo della comunicazione. Telegiornali e rotocalchi televisivi predicevano una connettività globale capace non soltanto di semplificare e velocizzare all’inverosimile lo spostamento fisico delle informazioni, ma anche di avvicinare culture diverse e di ampliare le possibilità di crescita personale tramite il libero scambio di idee, di concetti, di emozioni e di creatività. Insomma si pensava ad una rivoluzione culturale intesa non come lo smantellamento di idee e ideologie preesistenti, ma come la possibilità, tendente all’infinito, della divulgazione di idee e ideologie.
Facendo il punto oggi, mi chiedo, dove siamo arrivati? Ad una guerra. Epocale.
La libertà che si diceva insita nella rete non sembra più così scontata e ovvia. Al contrario si può affermare con una certa tranquillità che sia in pericolo. Gli operatori dell’IT a tutti i livelli, dai produttori hardware agli sviluppatori software, dai fornitori di connettività a quelli di fonia, dai governi alle unioni fra stati sembrano avere un unica parola d’ordine: protezione.
Cosa c’è da proteggere?
Con le potenzialità di una diffusa connettività ci si poteva immaginare una corsa all’innovazione per sfruttarne le potenzialità a livello di creatività e di contenuti, non certo una ricerca costante dell’impedimento tecnico nell’uso della stessa. Ed invece le notizie che leggiamo ogni giorno sono sconfortanti. Invece di offrirci novità, gli operatori ci offrono gli stessi prodotti e servizi di sempre con il tentativo onnipresente di limitarne l’uso non a seconda delle nostre necessità, ma dei loro profitti imprenditoriali.
La RIAA americana che ha messo in piedi una campagna terroristico-legale contro studenti e casalinghe per il download illecito di pochi brani musicali, gli internet provider che con tecniche di retaining furioso che preferiscono lasciare gli utenti senza connessione mesi pur di scoraggiare il passaggio alla competizione, gli operatori di telefonia che bloccano i cellulari e gli operatori UMTS che invece di offrirci i vantaggi della banda larga mobile come ci si aspettava, ci costringono a navigare (velocemente, per carità) nel catalogo online dei loro servizi a pagamento.
Ed ancora: il nuovo Windows Vista 64 bit che non permette l’installazione di driver non firmati, (ma non era mio il computer?) i sistemi DRM grazie ai quali l’utente inesperto non riesce neanche a trasferire gli mp3 registrati col suo gruppo in cantina dal portatile al computer di casa, addetti alla sicurezza nei cinema che chiedono di ispezionare il contenuti di zaini (mica alla ricerca di bombe, ma di telecamere), bozze di legge che bandiscono lo sviluppo di prodotti che potrebbero essere usati per scopi illegali.
Fra i casi più agghiaccianti c’è quello dei server P2P “civetta”, che sembrano normali server per lo scambio di file, ed invece raccolgono informazioni sugli utenti, utili per far partire denunce. Un po’ come aprire copisterie per poi denunciare chi fotocopia i libri.
Insomma appare chiaro che gli operatori vedono gli utenti come nemici del profitto e come tali devono essere controllati, limitati, terrorizzati e soprattutto spremuti fino all’ultima goccia.
E’ arrivato, credo, il momento di una risposta altrettanto forte e decisa, che faccia capire chiaramente che no, a noi non va bene così. Per niente. Siamo stanchi di dover tribolare per trovare rimedi alle limitazioni dei prodotti che abbiamo comprato e possediamo, stanchi di essere trattati come criminali, stanchi di essere litigati a nostre spese se scegliamo questo servizio o quell’altro.
E allora mi è venuta un idea. Ammettiamo tutto. Costituiamoci in massa alle autorità. “Confesso, ho scaricato materiale protetto da copyright, ho aggirato protezioni, ho sbloccato telefoni e anche in questo momento il mio Pc a casa continua a commettere reati su qualche server P2P. Confesso inoltre la mia intenzione a reiterare i reati commessi anche in futuro, riservandomi la possibilità di sfruttare qualsiasi nuova tecnologia per commetterne di nuovi.”
Questo diremo al funzionario della polizia postale in decine di migliaia.
Così facendo o verremo arrestati tutti, o qualcuno capirà che non siamo disposti a cambiare la nostra concezione della comunicazione per i capricci delle multinazionali.
Forse, così, questa stupida ed inutile guerra finirà.