Toblòg/ L'Italia che filtra gli IP

Toblòg/ L'Italia che filtra gli IP

di Vittorio Bertola - Parte il blocco degli IP verso siti cinesi, così come verso i siti delle scommesse: le molte forme della censura prendono corpo anche in Italia in assenza di un qualsiasi dibattito pubblico
di Vittorio Bertola - Parte il blocco degli IP verso siti cinesi, così come verso i siti delle scommesse: le molte forme della censura prendono corpo anche in Italia in assenza di un qualsiasi dibattito pubblico


Roma – Ormai la maggior parte degli italiani, compresi quelli che non hanno mai usato Internet, ha sentito parlare del caso “calcio(non)libero”, ossia dei due siti che fornivano link a streaming video di televisioni cinesi, sulle quali sono trasmesse in chiaro le partite di pallone che qui in Italia si dovrebbero pagare (e non poco) a Sky, Mediaset o La7.

Come riportato ieri da Punto Informatico, i due siti sono stati chiusi dalla Guardia di Finanza (o meglio, uno ha semplicemente cambiato URL, e quindi è ancora visibile, essendo ospitato all’estero su un dominio non italiano); non si capisce su quali basi, visto che si limitavano a fornire i link. Pare che la tecnologia P2P usata per lo streaming sia tale che il fatto di radunare molti utenti – e quindi, di provocare l’attivazione in Italia di tanti peer in grado di redirigere i pacchetti – sia essenziale per il funzionamento stesso dello streaming, perché un utente da solo vedrebbe poco o nulla; mi sembra un argomento debole.

Ma la cosa che trovo veramente preoccupante è che, secondo tutti i giornali, la Guardia di Finanza avrebbe ora ottenuto da tutti i maggiori provider italiani che gli indirizzi IP delle suddette emittenti cinesi vengano resi irraggiungibili ai clienti mediante filtri sui router.

Questa soluzione, se ricorderete, è stata “promessa” poco tempo fa anche per un altro scopo , ossia impedire l’accesso dall’Italia ai casinò online, per salvaguardare il monopolio di Stato sulle scommesse.

Certo, fa pensare il fatto che quel genere di provvedimenti che non si riescono mai a ottenere contro i peggiori siti spammer, razzisti o pedopornografi vengano presi a spron battuto quando di mezzo ci sono i soldi dello Stato o delle televisioni; ma, per chi come me pensa che la censura sia sbagliata comunque, non è questo il peggio.

Quello che sconvolge è invece come in Italia si stia provvedendo a implementare una forma di “censura di Stato” sulla rete, in cui senza alcun tipo di scrutinio pubblico o di garanzia legale la Guardia di Finanza e gli ISP, magari su pressione di attori privati ancora più forti come le televisioni o le major dell’audio e del video, decidono che cosa gli italiani devono o non devono poter vedere su Internet.

Nessuno discute la legittimità dei diritti di sfruttamento sulla trasmissione di determinati eventi, anche se immagino che le televisioni cinesi non li abbiano avuti gratis, per cui essi dovrebbero essere già stati compensati; però io sono estremamente preoccupato dalla faciloneria con cui un diritto fondamentale come quello di espressione e di comunicazione tramite i media venga intaccato così di soppiatto. E se le emittenti cinesi, dopo Juve-Milan, mandassero un documentario sui dissidenti locali? Ce lo perderemmo pur di non mettere in dubbio i danari di Galliani?

Vi sono molti altri episodi – si pensi ad esempio alla presunta pratica di alcuni grandi ISP italiani di filtrare il traffico di determinati programmi peer to peer – da cui appare che, in assenza di una adeguata protezione dei nostri diritti, i fornitori di accesso si arrogano il ruolo di censori in modo totalmente arbitrario.

Se proprio così deve essere, credo che essi dovrebbero perlomeno essere obbligati a scrivere a chiare lettere a tutti i propri clienti che determinati siti o determinati programmi sono oscurati, con tanto di elenco allegato, in modo che il consumatore possa scegliere il fornitore che gli è più congeniale.

E però, io credo che la via migliore sarebbe prevedere che questo tipo di provvedimenti, se proprio sono necessari, vadano presi in modo pubblico e chiaro, dopo aver applicato le opportune garanzie e gli opportuni criteri per limitarli al minimo necessario; e secondo principi oggettivi di responsabilità giuridica, che non criminalizzino chiunque inserisca anche solo il termine “peer to peer” nelle proprie pagine, ma soltanto chi compie davvero dei reati, e dopo che un giudice specifico della materia, competente ed equilibrato, abbia vagliato la credibilità della denuncia.

Io ricordo che a Tunisi, un paio di mesi fa, inserendo il termine “anonymizer” su Google si otteneva in risposta una finta pagina di errore in francese, creata dall’ISP su ordine del governo. Quando vedo che l’Italia si avvia sulla stessa strada, comincio a chiedermi in che paese vivo, visto che le immagini delle cosce da cavalli gonfiati di Nedved e Del Piero ormai valgono più della nostra libertà.

Vittorio Bertola
Toblòg

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Pubblicato il
31 gen 2006
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