Roma – Sulla censura in Cina si potrebbe ormai scrivere un’enciclopedia. Gli attivisti di Reporters Sans Frontieres hanno già pubblicato qualcosa, dando alle stampe un buon volume chiamato Il libro nero della Cina : la censura online è indubbiamente diventata un argomento molto scottante , tanto sul piano politico che su quello tecnologico.
Così scottante che qualcuno, in giro per il mondo, rischia addirittura vita e fortuna pur di garantire la libertà e la pluralità d’informazione in quel lontanissimo paese chiamato Repubblica Popolare Cinese.
Come ad esempio l’anonimo fondatore di Dynamic Internet Technologies , la piccola azienda statunitense che produce Freegate , lo strumento più utilizzato dagli utenti cinesi per aggirare i firewall di stato. Un programma semplice ma efficace, che utilizza server proxy anonimi continuamente aggiornati per creare un “ponte” tra l’Internet libera e la “rete privata” della Cina.
Intervistato dal prestigioso BusinessWeek , si scopre che il creatore di Freegate gode del supporto del governo americano ed è finanziato direttamente dai membri del Falun Gong , un controverso culto religioso cinese messo vigorosamente al bando dal Partito Comunista.
“Qualsiasi evento che fa notizia viene trattato dal regime cinese in maniera fuorviante”, sostiene l’intervistato di BusinessWeek, “dalla SARS alla nascita di rivolte spontanee in molte amministrazioni locali”. Gli spiragli temporanei di libertà creati dalla “rotazione dei proxy” di Dynamic Internet Technologies durano mediamente 72 ore, a dimostrazione di quanto sia efficiente l’ armata di cybercop alle dipendenze di Pechino.
DIT sfrutta poi i “varchi” nel firewall statale cinese per diffondere materiale informativo proveniente da varie fonti umanitarie e non profit: dalle organizzazioni che si battono per la democrazia in Cina fino, ovviamente, alle circolari provenienti dai ministri del Falun Gong fuggiti oltreoceano.
I servizi segreti cinesi, a detta del fondatore di DIT, sono molto attivi e ritorsioni violente sui sostenitori del progetto non sono affatto rare. Ritorsioni che talvolta sconfinano dal territorio cinese: Yuan Li, caporedattore del quotidiano The Epoch Times , affiliato a sua volta col Falun Gong, ha recentemente subito una violenta aggressione ricondotta alla sua militanza anticensoria.
Il giornalista sostiene di essere stato pestato nella sua abitazione: due “picchiatori asiatici”, stando alla ricostruzione fornita da Yuan Li, “sono entrati in casa, mi hanno bastonato e sono scappati solamente coi miei due laptop, trascurando molti altri oggetti di valore”.
Il vortice di polemiche, storie e critiche attorno alla censura cinese sta diventando sempre più densa di particolari agghiaccianti e sconvolgenti, che non risparmiano i grandi player del mondo digitale: Google , Microsoft e Yahoo! , sono infatti investiti da polemiche vivacissime sul proprio atteggiamento verso le politiche pechinesi.
Tommaso Lombardi