Roma – Ne siamo circondati, sono presenti in pressoché qualsiasi CD e DVD, fanno parte dei file distribuiti dai jukebox legali in Internet, sono il cuore di dispositivi di riproduzione e di software multimediale: sono le tecnologie di controllo sulla fruizione, i cosiddetti DRM, sigla che sta per Digital Rights Management ma che sempre più spesso viene spiegata come Digital Restrictions Management .
A battersi contro questo accerchiamento sono, tra gli altri, i sostenitori del free software, un movimento che sta lavorando su molti fronti per frenare, ostacolare, fermare l’avanzata del DRM. E che farà il punto su tutto questo a Torino il 18 marzo nel corso di una importante conferenza a cui parteciperà tra gli altri il fondatore di Free Software Foundation Richard Stallman. Per capire come FSF si prepara a dare battaglia al DRM, Punto Informatico ha scambiato quattro chiacchiere con Stefano Maffulli , presidente della sezione italiana di Free Software Foundation Europe .
Punto Informatico: Intervistato da PI di recente Richard Stallman ha rilanciato l’avversione del libero sviluppo per le tecnologie DRM. Un’avversione condivisa da molti.
Eppure il DRM già ci circonda, è già al centro delle strategie industriali di grandi e piccoli produttori e editori nonché di normative ad hoc che lo proteggono, rendendo illegali i bypass. Quali strategie intendete mettere in campo per combatterlo?
Stefano Maffulli: I sistemi di restrizione dei diritti (Digital Restrictions Management) rappresentano un problema per la società che agisce su due fronti: quello tecnico e quello legale.
Come fai giustamente notare, ci sono già in giro CD falsi , difettosi, messi in circolazione da Sony, Warner, Vivendi ecc, ovvero CD che non funzionano secondo lo standard. Ma ci sono anche le pressioni delle stesse aziende per far approvare nuove leggi che criminalizzano le altrimenti normali pratiche di reverse-engineering.
Il problema del DRM è alimentato da una propaganda interessata da parte delle solite aziende, che nonostante i loro utili sempre alti, lamentano costantemente “la fine della creatività”. E la propaganda attecchisce sull’ignoranza del pubblico.
Le strategie che le FSF hanno messo in campo sono in tre direzioni. Primo: informare il pubblico dei pericoli. Per poter meglio comunicare il significato di DRM abbiamo aggiustato il significato della “R”, in modo da inviare un messaggio chiaro a chi legge. E direi che stiamo avendo qualche successo, visto che alcune testate interpretano la R come Restrictions (invece di Rights, ovvero i diritti degli editori).
Poi costantemente ne parliamo durante gli incontri con il pubblico (nel 2005 solo in Italia abbiamo partecipato a una 50ina di eventi pubblici).
L’altra strategia è GPLv3, la nuova licenza del progetto GNU. GPLv3 dovrà chiaramente tracciare un confine contro chi spera di usare il nostro software per impedire agli utenti di fruire dei propri documenti e dati digitali in completa libertà e autonomia. Il testo della licenza non è ancora pronto, ma è chiaro l’obiettivo da raggiungere. Sappiamo che non è facile, ma ci siamo abituati: non era facile nemmeno pensare di scrivere un intero sistema operativo, 20 anni fa.
PI: La sensazione diffusa è che sulle conseguenze del DRM, apice ed emblema di tecnologie che colpiscono il quotidiano ma che non sono oggetto di approfondite riflessioni politiche e legislative, non vi sia una reale consapevolezza da parte di chi potrebbe normare il settore, mettendo dei paletti alla diffusione e alla pervasività di questi sistemi. Neppure lo scandalo del rootkit Sony BMG sembra aver cambiato la situazione. C’è modo di sensibilizzare chi si trova nella stanza dei bottoni?
SM: Parlare con i politici è la terza direzione in cui si muovono le FSF. Non lo sbandieriamo troppo in pubblico, ma compatibilmente con le risorse a disposizione siamo in contatto con rappresentanti politici per diffondere cultura anche nei parlamenti nazionali.
Ovviamente è un lavoro delicato perché la propaganda di BSA e SIAE attecchisce bene ovviamente anche sui politici. Con alcuni politici siamo riusciti a costruire un rapporto che speriamo di poter portare anche nella prossima legislatura.
PI: Sul tuo blog parli della GPLv3 come di una delle armi con cui FSF intende combattere il DRM, definendola una “guerra totale che non ammette né sconfitte né prigionieri”. In che modo la v3 potrà influire su quanto sta accadendo?
SM: Partiamo da un dato di fatto: il mercato delle tecnologie è rapidissimo e le aziende devono passare molto rapidamente dall’idea al prodotto sul mercato. E’ cruciale questa rapidità. Per questo molte aziende scelgono di usare software già solido, con competenze diffuse, semplice da usare e da modificare, senza troppi lacciuoli legali per l’uso. E, inoltre, senza costi fissi di acquisizione, che per i nuovi prodotti è fondamentale.
GNU, Linux e altri software liberi sono opzioni che realizzano perfettamente tutte queste condizioni. Non è un caso che Nokia, Motorola, TiVo, Palm, TomTom, Linksys e tantissimi altri usino il nostro software, e a noi fa piacere.
Però alcuni di questi vogliono anche poter usare il nostro software per andare contro i nostri stessi principi. GPLv3 serve a chiarire a queste aziende che se vogliono avere questi splendidi vantaggi economici, non potranno caricare la società del costo della mancanza di libertà.
PI: A volte grandi corporation mettono al centro delle proprie strategie quei software.. penso ad Hollywood ad esempio…
SM: Non c’è un solo film degli ultimi anni che non usi effetti digitali, e praticamente tutti questi effetti sono frutto dell’elaborazione di centinaia di server alimentati dal nostro software.
Insomma, non possiamo mica tollerare che Hollywood da un lato usi pesantemente il nostro software negli scantinati per costruire capolavori come “Shrek” o “Il Signore degli Anelli” e poi, dall’altro lato, Hollywood stessa imponga leggi che rendono i DRM obbligatori per legge.
PI: I produttori di dispositivi che oggi utilizzano sistemi open source con il varo della nuova licenza dovranno adeguarsi? Non si rischia che passino a sistemi proprietari senza pensarci due volte?
SM: Per noi di FSF non avrebbe senso diffondere il nostro software volendo concedere i diritti di uso, studio, modifica e distribuzione se poi tramite DRM lasciamo la possibilità a terzi di revocare uno o tutti questi diritti. Non avrebbe senso.
Le aziende sceglierebbero altro? Il nostro software è sempre stato lì per essere usato: se qualche azienda sceglie di non usarlo sono loro a perderci.
Ma non abbiamo perso di vista il mercato. Sappiamo che ormai i produttori di sistemi operativi proprietari sono in estinzione, praticamente. Persino Palm ha smesso di sviluppare il suo sistema perché antieconomico. Mantenere un sistema operativo in proprio è difficile e costoso; comprare il sistema operativo da terzi è altamente rischioso e si consegna il proprio business ad un terzo. Vedi cosa è successo a IBM che era finita a fare da succursale di Microsoft e si sta faticosamente scrollando di dosso questa dipendenza. Insomma, sappiamo
quello che valiamo e crediamo di essere pronti a questa battaglia che vale sia per l’accesso alla cultura mondiale che per l’indipendenza personale.
PI: Mettendo per un attimo da parte le questioni tecniche e normative, se l’utente viene informato all’atto dell’acquisto (di un CD piuttosto che di un Videorecorder ecc.) che quanto sta comprando è gestito da tecnologie DRM che ne limitano l’utilizzo, non ritieni che chi produce quelle tecnologie e quei contenuti abbia il diritto di immetterli sul mercato? Il celebre docente di Princeton Ed Felten sostiene che per riuscire a vendere un DRM occorra ingannare l’utente
SM: Sono d’accordo con Felten: nessuno vuole comprare un videoregistratore che impedisce il salto della pubblicità. Nessuno vuole subire la regionalità dei lettori di DVD. A nessuno piace comprare prodotti difettosi, come certi CD che non sono leggibili in tutti i lettori (per questo si meritano l’appellativo di “CD falsi” e difettosi).
Il punto della propaganda di SIAE, FIMI e compagnia petulante è che devono colpire i “falsari di professione”. Ma questo è falso o quantomeno fuorviante. A me pare evidente che chi vogliono colpire è direttamente l’utente finale che non deve più pensare di comprare un libro o un CD, ma deve abituarsi a pensare alla musica e alla cultura come ad un servizio che si paga ogni volta che viene usato.
Non dimentichiamoci che questi signori sono anche contrari alle biblioteche pubbliche e hanno fatto approvare una direttiva europea che impone il prestito a pagamento.
PI: Il sostegno che il papà di Linux, Linus Torvalds, ultimamente ha più volte offerto al DRM non dovrebbe essere il segnale per la comunità informatica più aperta che non tutto il DRM viene per nuocere? Lo stesso Torvalds non condanna in sé il Trusted Computing, sostenendo invece che Linux deve supportarlo, anche per non uscire da un mercato che sembra voler adottare il computing blindato senza remore. Che ne pensi?
SM: Penso che il costo sociale della combinazione DRM/TC adottata diffusamente sia inaccettabile. Sarebbe un mondo senza biblioteche, senza archivi pubblici e in ultimo senza democrazia, troppo simile a quel 1984 raccontato da Orwell.
I sostenitori della neutralità di questi sistemi devono fare uno sforzo in più per spiegarci perché sarebbero utili. La favola raccontata dai petulanti vari non regge perché il loro pianto greco l’abbiamo già sentito troppe volte: prima con l’introduzione delle musicassette, poi col vhs, ora con il digitale.
Ogni volta il loro pianto ignobile a lamentare la fine della musica, la fine del cinema. I loro profitti non sono mai diminuiti. E davvero non capisco come si faccia ancora a dargli credito.
Chi sa a che servono i DRM, si faccia avanti e lo spieghi.
a cura di Paolo De Andreis