Roma – Appare oggi la prima di una serie di interviste che da qui alla prossima settimana, in vista delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile, verranno presentate su Punto Informatico per dare uno sguardo alle posizioni dei partiti di entrambi gli schieramenti su alcuni dei temi caldi dell’oggi tecnologico e dello sviluppo di Internet. Aderendo alle molte richieste dei lettori, Punto Informatico pone altresì questo spazio a disposizione di qualunque candidato ritenga di voler intervenire sui temi più significativi della rivoluzione digitale.
La prima intervista della serie è con l’ Unione , lo schieramento di centro-sinistra guidato da Romano Prodi, e in particolare con Marco Cappato , membro della segreteria nazionale della Rosa nel Pugno .
Punto Informatico: Avete dichiarato che nel programma della Rosa nel Pugno c’è l’abolizione della Legge Urbani…
Marco Cappato: Non c’è solo l’abolizione della Urbani, ma anche un no secco alla brevettabilità del software, l’abolizione della SIAE e la riduzione a 20 anni dei tempi dei diritti d’autore. Personalmente mi sono autodenunciato per violazione pubblica della legge Urbani e ho denunciato lo stesso Ministero per non essere stato in grado di rispettare la sua legge nemmeno sul suo sito.
PI: Sì, però non tutta l’Unione sembra concorde…
MC: Emma Bonino ha presentato un emendamento al tavolo dell’Unione affinché l’abolizione della legge Urbani entrasse nel programma dell’Unione. La proposta non è passata, ma torneremo alla carica nel prossimo Parlamento.
PI: Sulle cose della rete molti hanno vissuto questi anni come una sorta di accerchiamento delle promesse di Internet… Da dove ripartire?
MC: Contro la brevettabilità del software bisogna rilanciare la mobilitazione a livello europeo. Un’altra legge da cambiare è quella sulla data retention, perché in questi anni l’emergenza sicurezza è stata utilizzata per indebolire il diritto alla privacy dei cittadini.
Credo infine che lo Stato dovrebbe intervenire per evitare che il Digital Rights Management si imponga come uno standard tecnologico obbligatorio, che svuota il diritto alla proprietà privata non solo sui “programmi” o sulle apparecchiature multimediali, ma su tutti quei prodotti, sempre più numerosi, dall’auto agli elettrodomestici, che incorporano circuiti e codici.
PI: Alcuni rapporti internazionali, come quello del WEF, assegnano all’Italia una scarsa capacità di sfruttare le opportunità della rivoluzione tecnologica. Come intendete muovervi per cambiare rotta?
MC: Bisogna smettere di prolungare artificialmente l’agonia di settori decotti e iperprotetti, e riconvertire gli investimenti pubblici e privati verso i settori dove la tecnologia e la “conoscenza” sono il valore aggiunto decisivo.
PI: Cosa intende?
MC: Le risorse del welfare sono dilapidate in sussidi a pioggia alle imprese e in meccanismi assistenzialistici, come la cassa integrazione straordinaria, che sono un vero e proprio incentivo al lavoro nero e alla socializzazione delle perdite aziendali. È necessario convertire le risorse nella riqualificazione professionale, nella ricerca scientifica e nelle infrastrutture.
PI: Se ne parla molto ma l’impressione è che la classe politica italiana ne sappia poco: la disponibilità di banda larga in Italia è solo parziale, in molti soffrono ancora di una diseguaglianza che si delinea come vero e proprio digital divide all’interno del paese. Come affrontare questo problema?
MC: La prima cosa è far funzionare il mercato, abbattere i cartelli oligopolistici della telefonia, ma anche i monopoli costruiti attraverso barriere commerciali e soprattutto tecnologiche.
La diffusione di internet a livelli di massa è legata alla convergenza multimediale, in particolare attraverso Tv – digitale terrestre, satellite, cavo e internet – e telefoni. Un processo così importante non può essere affidato alla gentile concessione di attori che, per far fruttare il più a lungo le proprie posizioni dominanti, fanno di tutto per ritardare la possibilità del cittadino di accedere ai contenuti scegliendo liberamente tra le diverse piattaforme tecnologiche.
Altro punto è quello dello sviluppo di WiFi e WiMax – evitando che mistificazioni della sicurezza antiterrorismo limitino e ritardino la diffusione, in particolare di progetti “aperti” come Fon – e promuovendo reti civiche WiFi gratuite, come negli Stati uniti sta accadendo da parte di alcune città.
PI: La Legge sull’accessibilità, con tutti i suoi limiti, è senza dubbio un primo passo verso un approccio di vera inclusione delle persone con disabilità nella rivoluzione. Si sta facendo abbastanza? Cosa si può mettere in campo?
MC: La priorità è quella di abbattere le barriere, a partire dalle più odiose, cioè quelle contro le persone malate e disabili. Non è tollerabile che apparecchiature come quelle che consentivano a Luca Coscioni di “parlare con gli occhi”, non siano messe a disposizione gratuitamente – e a un costo relativamente irrisorio, se confrontato con la spesa sanitaria complessiva – di persone che oggi vivono in condizioni letteralmente di “sepolti vivi”.
Un’altra barriere da abbattere è quella che impedisce ai non-vedenti di accedere alla versione digitale dei libri.
Lo Stato dovrebbe anche farsi carico di rendere accessibile tutto il materiale pubblico o finanziato con soldi pubblici – inclusi gli archivi istituzionali e della RAI – che deve essere liberamente divulgabile, anche con licenze Creative Commons o similari, e di diffondere i lavori istituzionali anche in modalità peer-to-peer.
PI: Avete parlato più volte di open source nella Pubblica Amministrazione: è una questione molto sentita nel mondo del software italiano. Come pensate di muovervi per spingere il paese in questa direzione?
MC: Per incentivarlo basterebbe far rispettare logiche di mercato, evitando sprechi e duplicazione di spese. La PA avrebbe incentivi formidabili a possedere il codice dei programmi su cui lavora, per poterli riutilizzare ad ogni livello amministrativo, anche valorizzando le proprie competenze informatiche interne. Questo significa che la PA deve avere diritto di modificare e ridistribuire il codice.
Il software cosiddetto “a sorgente disponibile”, proposto da alcuni produttori, non è una soluzione adeguata, perché non permette la libera modifica e distribuzione. È necessario promuovere l’uso del vero open source, non solo nell’acquisizione di soluzioni pacchettizzate, ma soprattutto nello sviluppo di customizzazioni e di programmi ad hoc per la PA.
La Direttiva Stanca del 2003 non è abbastanza chiara al proposito.
Occorre anche garantire che i meccanismi di appalto di servizi informatici nella PA siano imparziali rispetto ai fornitori di software e non perpetuino rendite monopolistiche. Tanti programmatori e fornitori di servizi italiani sono oggi in grado di competere con i più noti colossi dell’informatica, proprio grazie al software open source.
PI: Cos’è oggi Internet per un movimento politico?
MC: Credo che sia importante per un movimento politico non occuparsi solo di leggi, ma anche di aprirsi alla rete. Nel 2000 abbiamo incontrato Luca Coscioni proprio perché si candidò alle prime elezioni online degli organi dirigenti di un movimento politico in Europa. Oggi, sia il sito della Rosa nel Pugno, che quello della campagna referendaria e dell’associazione Luca Coscioni, girano su piattaforma open source civicspace, sviluppata dai programmatori della campagna di Howard Dean, e ospitano strumenti di partecipazione libera, tra cui un wiki su cui approfondire il programma sulle libertà digitali e il progetto radical media peer per mettere a disposizione gli archivi di radio radicale.
La Rosa nel Pugno è anche attenta al ruolo che le tecnologie digitali possono giocare nello sviluppo politico ed economico dei paesi poveri. Grazie al Partito Radicale Transnazionale seguiremo da vicino i lavori del forum creato a Tunisi sul management della rete, che si riunirà a maggio ad Atene. Internet rappresenta un potente mezzo di comunicazione, ma anche di promozione dei diritti umani e quindi di libertà e democrazia.
a cura di Tommaso Lombardi