Roma – C’è qualcosa di inesplicabilmente elegante nel funzionamento di un nuovo, curiosissimo robot, figlio non solo di tecnologie piuttosto avanzate e di un complesso lavoro di ricerca ma anche di un’ambizione artistica tra le più intriganti, quella che coniuga sempre più spesso e fortunatamente a tutte le latitudini un ampio ventaglio di artisti del digitale e della tecnologia.
Sto parlando di una sedia-robot, un concetto sviluppato da Max Dean , un “inventore” e un “artista” non nuovo a certi exploit, realizzato dal suo “complice” e tecnologo Raffaello D’Andrea, e ora pubblicizzato attraverso un video ugualmente singolare, nella sua crudezza così vividamente funzionale da risultare inquietante, come hanno rilevato i bravi curatori del celeberrimo sito Engadget .
Tutto è in quel video, in una sedia all’apparenza del tutto normale, forse anzi troppo grezza per i salotti più sfiziosi, che in un sol colpo perde i suoi pezzi, ed ognuno cade rumorosamente al suolo, innestando in chi osserva reminiscenze di un sempre possibile e sgradito incidente, quello di chi “frana” assieme alla sedia che lo sostiene.
Da quel momento in poi, con la complicità di un rumore di fondo dal sapore fortemente metallico, quei pezzi prendono vita: il sedile vero e proprio, anch’esso un pezzo rotolato sopra agli altri, inizia infatti a muoversi con intelligenza sopra e tra gli altri “arti” di quell’attrezzo, recuperandoli uno ad uno e integrando, con un’abilità prensile visivamente inquietante, anche lo schienale.
Con sollevamenti idraulici e meccanismi degni dell’orologio più complesso, sotto la guida di un processore e di un software dedicati, quei pezzi si ri-assemblano lentamente, con un afflato di inevitabilità che ricorda all’occhio giovane le scene più celebri di film come Terminator2 .
E sono sensazioni volute dai due straordinari autori di quest’opera semovente catturata in una clip che in pochi minuti, forse un paio, dimostra come la sedia sia in grado di ragionare sul suo stesso smembramento e porvi rimedio, fino a ricongiungere ciascuno dei suoi pezzi.
A quel punto il finale, atteso come si attende il sole dopo la tempesta, emerge invece tutt’altro che luminoso: la sedia che risorge, che si rialza da sé, lentamente, con uno sforzo gestito ad arte, appunto, da un’elettronica dedicata, con il condimento di una rumorosità ipertecnologica, e studiata per riconquistare la forma perduta nel giro di qualche manciata di secondi. Che scorrono rapidi, eppure lenti per chi guarda, fino a rappresentare di nuovo l’Oggetto, posizionato al centro di una stanza, che sbigottisce: quella sedia, ci giurerei, non solo ha consapevolezza di sé ma sa anche di essere temuta.
Da non perdere: il video è qui , l’ultimo a destra tra quelli elencati.
P. Carnera