Roma – E alla fine il contestatissimo spot voluto dalla Business Software Alliance è stato condannato. Dopo settimane di programmazione televisiva, lo spot antipirateria contestato per la sua “violenza” è stato bocciato dal Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria.
In una nota, il Giurì ha fatto sapere nella tarda mattinata di ieri che “Esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che il messaggio televisivo non è conforme agli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e ne ordina la cessazione”.
In altre parole lo spot, oggetto di due denunce formali presentate da Emmanuele Somma e dal senatore verde Stefano Semenzato, non risponde ai requisiti di correttezza del messaggio pubblicitario. L’articolo 2 si riferisce infatti alla pubblicità ingannevole e l’articolo 8 al fatto che la pubblicità “deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura”.
Come si ricorderà lo spot gira attorno alla frase: “Copiare software in azienda è reato”. Una affermazione non vera, se si considera il free software, e che nelle due denunce presentate si definiva “fuorviante”. Altre critiche riguardavano l’ambientazione in cui è stato girato lo spot, un carcere, e in generale il tono minaccioso dello spot.
Sulle pagine di Punto Informatico, il presidente della BSA italiana, Paolo Ardemagni, aveva spiegato che per BSA la campagna televisiva era una opportunità per “porgere un messaggio importante” anche se “in soli 20 secondi di spot”. “Un tempo ridottissimo – aveva detto – nel quale riteniamo però di essere riusciti a dare il messaggio di quel che rappresenta la nuova legge italiana contro la pirateria per il settore del software. Riteniamo di aver raggiunto il 90 per cento dell’audience, compresa la piccola e media impresa, target specifico della nostra campagna”.
Grande soddisfazione per la decisione del Giurì è stata espressa ieri dagli ambienti digitali del free software e dell’open source.