Roma – Poche cose come il decreto Urbani appena approvato ( qui il testo in pdf del decreto) hanno sollevato una tale attenzione in rete. E mentre si affollano forum e newsgroup, la polemica non trova toni più distesi, dividendo associazioni di settore e Governo e facendo intervenire l’opposizione. Alcuni utenti hanno persino avviato una petizione contro il decreto.
Le polemiche
Il presidente degli editori italiani dell’ AIE , Federico Motta , in una nota diffusa nelle scorse ore si è chiesto se Urbani sia solo ministro del cinema. “Nel testo del decreto legge – si legge nella nota – si salvaguarda solo il cinema dallo scambio di file in Internet, senza prevedere la stessa tutela per le opere letterarie, quelle musicali, per il software e in generale di tutte le altre opere dell’ingegno. Il decreto prevede, infatti, nuove ipotesi di reato e di illecito amministrativo, applicabili unicamente alle opere cinematografiche”. “E tutto il resto? – ha chiesto Motta – Noi a quale ministro dobbiamo chiedere aiuto per la tutela del nostro diritto d’autore?”.
A scagliarsi contro l’attuale versione della normativa sono però anche le major della musica . La FIMI , federazione di settore, ha sottolineato che se le misure anti-pirateria non saranno subito estese al di fuori dell’ambito cinematografico di certo si creerà una disparità di trattamento sul piano della tutela penale con conseguenze sull’ammissibilità del decreto stesso.
Una presa di posizione alla quale il ministro ai Beni culturali Giuliano Urbani ha già risposto, spiegando che “sarà premura del ministero provvedere a definire uno strumento contro la pirateria per quanto riguarda i diritti d’autore anche nel campo della musica e della letteratura”. “Quello di oggi – ha spiegato Urbani – è soltanto un primo intervento che fa parte di un intero progetto contro la pirateria che investe l’intero campo dei beni culturali, e non soltanto il cinema”.
Lo stesso Urbani ha commentato il decreto sottolineando che “la pirateria audiovisiva è un furto e come tale deve essere trattata. I diritti d’autore devono essere difesi, altrimenti la proprietà intellettuale è destinata a scomparire, provocando nel lungo periodo la morte di ogni produzione culturale. Come ogni innovazione tecnologica, il web apre nuove e interessanti frontiere, che però non devono diventare un far west senza leggi. Esaltando eccessivamente la libertà di internet, rischiamo infatti di navigare in futuro in una rete priva di contenuti, un Mar Morto cibernetico prosciugato di idee”.
Una posizione che non è condivisa dall’opposizione politica. Il deputato diessino Pietro Folena in una nota si è chiesto se il Governo non voglia “internet come stato di polizia”. “Il decreto Urbani – ha dichiarato – è un provvedimento sbagliato in quella parte che si muove nella direzione della creazione di uno Stato di polizia su Internet.
Si obbligano infatti i fornitori di accesso ad Internet (provider) a controllare le attività degli utenti, nel più totale disprezzo della privacy. E’ un decreto che va nella direzione opposta rispetto alla direttiva recentemente approvata dall’Unione europea, che distingue molto nettamente coloro che piratano contenuti digitali da i semplici utenti che operano in una logica di scambio non commerciale”. Folena si è appellato all’opposizione e a quanti nella maggioranza “hanno dimostrato, in occasione della discussione della mozione sulla privacy – di cui sono stato promotore – di avere a cuore i diritti degli utenti di Internet e i principi di libertà che regolano la Rete”.
Su posizioni del tutto simili anche Fiorello Cortiana , senatore dei Verdi, secondo cui il decreto criminalizza gli utenti. “Anziché bloccare l’innovazione tecnologica con leggi liberticide come questa – ha dichiarato Cortiana – sarebbe stato necessario un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti coinvolti e non un’azione d’imperio”. Cortiana, presidente dell’Intergruppo Parlamentare per l’Innovazione Tecnologica e la Cittadinanza Telematica, ha anche sottolineato come “questo decreto legge prevede che i provider debbano diventare i cani da guardia degli utenti, pena sanzioni severissime: sarebbe come dire che se qualcuno ruba un portafogli su un autobus, il responsabile è l’autista. E’ una legge inaccettabile”.
“Secondo punto controverso – ha continuato – è l’ipotesi di introdurre il reato di favoreggiamento della pirateria anche per chi scrive su un sito come si masterizza un CD”.
Cortiana ha anche sottolineato come “sulla parte specifica relativa al mantenimento dei dati internet da parte dei provider, il Parlamento, più di due settimane fa, ha bocciato questa proposta nel decreto Grande Fratello: riproporla in un altro Decreto Legge, a poca distanza di tempo, è stato un vero e proprio insulto al Parlamento, tanto che ho già chiesto al Presidente Pera di intervenire per garantire la dignità del Senato”.
Uno degli animatori di Copydown , Pinna, ha commentato il provvedimento sottolineando come sia “un tentativo di far attecchire nel sentire comune un concetto che appartiene solo all’industria della produzione culturale, cioè che la copia di un file per uso privato sia un furto “.
di Massimo Mantellini – Passati sono i tempi delle home page listate a lutto per provvedimenti censori e restrittivi delle libertà digitali. Adesso si lavora su altri fronti, per esempio per spaventare il più alto numero possibile di utenti P2P
Roma – Per chi lo vuole vedere, esiste un filo sottile che unisce eventi che ormai sono lontani un decennio. Risale al 1995 la prima significativa mobilitazione su Internet, quando nel mese di dicembre molte pagine web della allora giovanissima rete delle reti si listarono a lutto adottando lo sfondo nero per protestare contro un progetto di legge di Bill Clinton che intendeva limitare la libertà online. Da quella piccola mobilitazione di allora (non molti di quanti staranno leggendo queste righe credo potranno ricordare o anche solo immaginarsi la frontpage di Yahoo con lo sfondo nero) molti altri pericoli grandi e piccoli ha corso la rete Internet intesa come luogo di innovazione e di libertà. E il destino che ci tocca parrebbe davvero essere quello che alcuni pessimisti storici come Lawrence Lessig prospettano da anni: quello di una rete ammanettata, sfiatata e ridotta a sterile gingillo dalle esigenze superiori di poteri più grandi di lei.
Il luogo dell’individualismo nel quale ognuno conta per sè, ma anche nel quale ciascuno produce senso e contenuto per quanto è in grado e lo condivide con gli altri, la prateria senza confini nella quale gli imbecilli da anni ci dicono che il vero sovrano è l’anarchia, e pronunciando tale parola si riferiscono a “confusione”, “violenza”, “sopraffazione”, oggi se ne sta appesantita, nel nostro paese come altrove, dall’attenzione di legislatori, opinionisti e politici incolti. Perchè “incolti” è aggettivo indispensabile per raccontare una parte di quel tentativo di rendere Internet uguale al mondo conosciuto che si cela dietro le piccole leggi che lo Stato produce ormai con frequenza giornaliera. Norme pensate e messe su carta per risolvere gli annosi problemi della anarchia della rete.
Il decreto Urbani sul P2P – certo ricondurre a Giuliano Urbani, ideologo ormai bollito del liberismo berlusconiano una legge che intende limitare il file sharing ha un che di intrinsecamente curioso – è solo l’ultima delle piccole pezze attaccate ad una coperta troppo corta: quella del controllo totale sul traffico Internet e sulle sue perversioni. Una aspirazione che, fuori dai regimi autoritari, ha ben poche possibilità concrete di essere messa in pratica.
E se cio’ non bastasse, la ben nota incapacità italiana di far rispettare anche la più inutile norma vidimata per legge proteggerà ancora per chissà quanto la coscienza “sporca” di quanti condividono in rete contenuti protetti da copyright, lasciando aperta l’unica finestra di controllo che ormai resta a discografici ed editori: quella, a dire il vero leggermente vergognosa, della comunicazione minacciosa e della condanna esemplare. Storie note, già abbondantemente viste oltreoceano, di dodicenni approdati sul New York Times per aver scaricato un mp3 di un famoso rapper: minorenni e anziane signore usate da monito ad una audience di milioni di persone che hanno appena compiuto il medesimo reato. E che misteriosamente, al di là del rischio oggettivo di venire scoperti, non provano alcun senso di colpa.
A questo si riducono oggi i provvedimenti come il decreto Urbani e gli altri che lo seguiranno: legislazioni sulla carta assai preoccupanti per tutti, potenzialmente in grado di minare importanti libertà individuali, che invece servono solo a stigmatizzare gli usi (o gli abusi) di milioni di persone. Tutto cio’ per tutelare gli interessi di pochi, ricordando che per tali ignominie tutti, ma proprio tutti noi, dal grande provider fino al più ignaro utente del web, potremmo un giorno trovarci la polizia postale alla porta con un mandato per cercare dentro il nostro PC che fine abbiano fatto i soldi di Eros Ramazzotti o quelli di una grande major hollywoodiana. Soldi elargiti e divisi secondo regole ormai vetuste che piccole leggi paravento tentato di tutelare ad libitum. E davvero non si puo’ dire che in casi del genere il legislatore abbia anche solo minimamente compreso cosa si intende per “un mondo che cambia”.
Massimo Mantellini
Manteblog
di Andrea Rossato – Alcune delle misure previste dal decreto cozzano con le misure esistenti, ma importanti sono le modifiche rispetto ai testi precedenti. Tutto nasce da una mancata comprensione del peer-to-peer e del rapporto con il business delle major
Roma – Tanto piovve che tuonò, verrebbe da dire, rovesciando i termini del vecchio adagio.
Procediamo con ordine. Dopo che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una costante estensione degli strumenti giuridici posti a difesa di ciò che ormai definiamo, con terminologia quanto meno tradizionalmente impropria, “proprietà intellettuale” , cosa cambia con l’approvazione del decreto legge Urbani sul cinema e le relative misure contro la pirateria telematica? Assai poco invero.
Distribuire a scopo di lucro opere cinematografiche per via telematica, mediante siti web o programmi di file-sharing, costituisce un reato aggravato, equiparato alla duplicazione, distribuzione, ecc. di opere, protette dal diritto d’autore, in quantità superiore alle 50 copie.
Si può discutere sulla portata innovativa della disposizione. In verità la norma consente di non provare il numero di copie distribuite, ma tale prova, se prodotta, avrebbe, anche in assenza della nuova disposizione, consentito di far scattare l’aggravante prevista dal comma 2 dell’art. 171-ter. All’effetto pratico, quindi, non si tratta di una novità rilevante.
Per quanto concerne l’utente domestico , che non tragga guadagno dall’uso dei sistemi peer-to-peer, il decreto introduce, solo per le opere cinematografiche, una sanzione amministrativa di poco superiore a quella prevista per la diffusione, duplicazione, ecc. di opere musicali. Unitamente alla sanzione vi è l’odiosa previsione di una gogna mediatica, con la pubblicazione della sanzione comminata su di un giornale a diffusione nazionale o su di un periodico specializzato nel settore dello spettacolo. Vedremo come l’opinione pubblica reagirà se e quando il nome di un minorenne, magari non abbiente, apparirà sulla pagina di un giornale per il solo fatto di aver scaricato un’opera cinematografica, magari non pubblicata – o non piú pubblicata – nel nostro paese.
Abbiamo già visto accadere qualcosa del genere negli Stati Uniti, in quel caso la RIAA citò in giudizio per una cifra considerevole una dodicenne che aveva scaricato un migliaio di canzoni dei suoi idoli preferiti, canzoni che non avrebbe avuto i soldi per acquistare. Sappiamo che la causa dei discografici non ne uscí rafforzata…
Un altro punto che poteva destare preoccupazioni riguarda il ruolo svolto dai service provider nella prevenzione della “pirateria” telematica. Anche su questo versante il decreto non contiene novità rilevanti: le informazioni utili ad identificare l’autore della fattispecie sanzionata, anche in via amministrativa, sono comunicate alle forze dell’ordine solo a seguito di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria (comma 4). Come sempre.
Il comma 6 prevede che, se il provider ha avuto “effettiva conoscenza” della presenza di contenuti protetti (opere cinematografiche), egli debba comunicarlo al Ministero dell’Interno. Sono salve però le norme che da un lato liberano il provider dal dovere di vigilare sulla condotta di chi utilizzi le sue infrastrutture telematiche (art. 17 D. Lgs. 70/2003), e dall’altro limitano la sua responsabilità per il contenuto delle informazioni che vengono trasmesse nella sua rete. In base al citato art. 17 un tale obbligo di comunicazione esiste già, ed esso è qui formulato in maniera piú chiara e stringente. Il comma 2 di questo articolo prescrive, infatti, che il provider è tenuto “a informare senza indugio l’Autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio .
Nulla di nuovo, quindi, anche per quest’aspetto.
La locuzione “effettiva conoscenza” desta però una qualche attenzione nel giurista. Essa è assai poco utilizzata dal legislatore (ricorre non piú di una quindicina di volte in tutto il corpus della legislazione vigente) e quasi sempre risulta essere sinonimo di “conoscenza diretta” . Solitamente le norme che la contengono pongono obblighi aggravati di pubblicità, la quale deve condurre il soggetto cui è destinata ad avere, appunto, una conoscenza effettiva dell’atto pubblicato.
Il suo utilizzo in questo contesto mostra un certo disagio del legislatore nel formulare la norma, che si è voluta rendere piú ristretta, nella portata, rispetto alla disciplina sul commercio elettronico di cui al citato D. Lgs. 70/2003. D’altro canto la Costituzione, il codice di procedura penale e, da ultimo, la direttiva comunitaria 2002/58/CE, limitano la possibilità di intercettazione delle comunicazioni telematiche, e la subordinano comunque ad un provvedimento dell’Autorità giudiziaria. La normativa sulla privacy consente al provider di trattare i dati relativi al traffico degli utenti solo ai fini della fatturazione (art. 123 D.P.R. 196/2003).
Quando scatta, quindi, l’obbligo di informare le autorità competenti ? Non certo con la segnalazione di un terzo, ad esempio il detentore dei diritti, il quale, in base al comma 3, deve rivolgersi al ministero dell’Interno. Ma nemmeno per via di un’autonoma attività di prevenzione posta in essere dal provider stesso: egli dovrebbe, nel caso del P2P, intercettare il contenuto delle comunicazioni degli utenti, dal momento che questi sistemi, non illegali di per sé, posso essere utilizzati con finalità perfettamente lecite.
Tale possibilità gli è però negata dalle norme vigenti. Sembra quindi che la disposizione che stiamo commentando descriva un’eventualità che, con riferimento al file-sharing, ben difficilmente può verificarsi.
Come si comprende, essa è infatti destinata alle violazioni poste in essere mediante siti web, ai quali il provider, come tutti, può accedere, anche per via di un eventuale servizio di hosting che può prevedere, magari per via contrattuale, una qualche forma di controllo sui contenuti ospitati.
Un commento, allora.
Per farsi un’idea generale del decreto può forse risultare utile ricostruire la storia del testo. Benché la prima versione non sia stata pubblicata, Giovanni Ziccardi, che ha svolto un ruolo di consulenza per il Ministero dei Beni culturali e vi ha quindi avuto accesso, conferma, sul suo blog , le indiscrezioni pubblicate anche da PI circa la presenza di sanzioni penali – e multa – anche per chi ponesse a disposizione del pubblico, con sistemi P2P, opere audiovisive.
La norma modificava l’art. 171 della legge sul diritto d’autore. Il testo pubblicato da PI era già molto diverso, prevedendo solamente la sanzione amministrativa, come confermato nella versione definitiva.
Rispetto al testo anticipato da PI, infine, sono state apportare modifiche interessanti: si è eliminato il richiamo all’ uso della cifratura come aggravante della condotta sanzionata e si sono inseriti i richiami agli articoli del decreto sul commercio elettronico (D.Lgs.70/2003) che limitano, come visto, obblighi e responsabilità del provider.
L’impressione che se ne può trarre è che vi sia stato un tentativo di criminalizzare la condivisione di opere protette mediante sistemi P2P, rendendo reato tale condotta. Ma che il tentativo non sia riuscito.
La conferenza stampa del Ministro Urbani, sul punto, dimostra un fenomeno imbarazzante: l’uso della legge per campagne di sensibilizzazione, educazione, non diversamente per quanto succede con gli spot di Pubblicità Progresso. Se può far piacere a molti il fatto che nella sostanza non cambi alcunché, pur tuttavia dobbiamo riflettere su un tal modo di produrre diritto. Egli afferma che le sanzioni amministrative, dal carattere “simbolico” , sono volte a “disincentivare ed educare” … Come lo sono quindi la maggior parte delle norme del codice della strada, che non vietano, ma disincentivano ed educano.
Le cose non dovrebbero stare cosí. Il file-sharing , se ha ad oggetto, senza fine di lucro, opere protette, è un’attività illecita. La sanzione lieve, ma pur presente da lungo tempo. D’altro canto essa è un’attività di massa. Lo spirito che la anima, per costituzione, è quello della condivisione della conoscenza e di esperienze estetiche che nessuno potrebbe ritenere meritevoli di biasimo. Le sue relazioni con le difficoltà dell’industria dell’intrattenimento non sono pienamente comprese. Sarebbe, pertanto, il caso di affrontare il problema generale. Dobbiamo impedirla definendola un “furto”, e come tale sanzionarla, per preservare un modello di business forse in crisi per altre ragioni? Abbiamo forza ed argomenti convincenti per farlo sino a rendere il divieto socialmente accettato? O dobbiamo continuare a rifugiarci nell’ipocrisia di norme che paiono avere il solo scopo di dire tu questo non lo devi fare, ma io non posso e non voglio impedirtelo , minando cosí il fondamento di quel principio a garanzia della libertà di ciascuno rappresentato da ciò che intendiamo quando parliamo di stato di diritto ?
Andrea Rossato (*)
Dipartimento di Scienze giuridiche – Università di Trento
NOTA: La copia letterale e la distribuzione di questo articolo nella sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.
(*) Andrea Rossato è dottore di ricerca in diritto privato comparato. Assegnista del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Trento insegna, come professore a contratto, Introduzione al diritto nella Facoltà di Ingegneria della stessa Università. (email: andrea.rossato AT ing.unitn.it)
UPDATE: Alcei ha appena comunicato quanto segue:
Rileviamo che Il testo pubblicato sul sito del Ministero diversamente da quanto abbiamo accertato, non contiene il riferimento
alla crittografia. Sospendiamo, sul punto, qualsiasi valutazione in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Di seguito il testo della nota diffusa nelle scorse ore dall’Associazione
Roma – Il decreto legge recante interventi urgenti in materia di beni ad attività culturali (“decreto Urbani” approvato dal governo l’11 marzo 2004) si aggiunge a una lunga serie di leggi e norme che, con i più svariati pretesti, infieriscono contro l’internet e contro la libertà e i diritti delle persone.
Un’analisi dei molteplici difetti e problemi di questo decreto-legge si trova qui .
All’origine, questo decreto riprendeva alcuni temi ed errori di quello 354/03 emesso il 24 dicembre 2003 e divenuto legge il 26 febbraio 2004 dopo un infruttuoso dibattito parlamentare che ha solo marginalmente attenuato alcuni dai suoi molti difetti (vedi qui ).
Nel corso di elaborazione del nuovo decreto sono stati eliminati i riferimenti alla “conservazione obbligatoria dei dati” (la cosiddetta data retention). Ma si è andati, assurdamente, a “innovare” sulla già distorta e impropria normativa sul cosiddetto “diritto d’autore”. Introducendo nuovi vincoli, nuove repressioni, nuove violazioni di diritto e di fatto.
In sostanza – si tratta di un’ennesima legge-papocchio inutile, inefficace e pericolosa. In cui si mescolano, in un intruglio indigesto e velenoso, temi diversi e non connessi fra loro, come il terrorismo e la duplicazione di musica, video o software.
È inutile perchè non fornisce alcuno strumento utile per la prevenzione del crimine (e in particolare di delitti gravi come il terrorismo o altre forme di violenza).
È inefficace perchè è farraginosa e mal concepita, quindi atta a produrre dispersione di attività, procedimenti a carico di innocenti, sovraccarico di indagini senza capo nè coda, a scapito di attività seriamente utili per combattere le attività criminali.
È pericolosa perchè introduce, in materie ove è totalmente insensato, il concetto di “processo alle intenzioni” cioè di punibilità non di un fatto, ma della supposta inclinazione a farlo (se questa violazione di un principio fondamentale del diritto puo’ essere ammissibile in situazioni estreme come il terrorismo, è inaccettabile che possa essere estesa a situazioni in cui non c’è alcun rischio per la vita e la sicurezza delle persone e delle istituzioni).
Come altre (troppe) leggi e norme rivela, con le sue affermazioni ridondanti e inutili, una specifica volontà di repressione dell’internet e della libertà di comunicazione e di informazione offerta dalla rete.
La perversa assurdità dell’impostazione è rivelata da alcune specifiche disposizioni.
– Con l’entrata in vigore del “decreto Urbani”, la Digos, oltre a occuparsi di criminalità organizzata, terrorismo e sicurezza dello Stato avrà il compito di tutelare in via preventiva gli interessi di un ristretto gruppo di (potenti) imprenditori dello spettacolo, dell’editoria e dell’informatica (che già con le leggi esistenti sono assurdamente favoriti dal fatto che la duplicazione di musica, immagini o software è considerata una responsabilità penale).
– Questo decreto stabilisce di fatto la “responsabilità oggettiva” dei provider, che hanno l’obbligo di monitoraggio e denuncia dei propri utenti – e sono multati pesantissimamente se non denunciano.
Si instaura, insomma, qualcosa che somiglia molto a uno “stato di polizia”, con la persecuzione delle intenzioni, l’obbligo di delazione, la violazione della vita privata e della comunicazione.
E tutto questo non per combattere i terroristi (che possono essere solo favoriti dalla confusione e dalla dispersione di energie create da leggi come questa) ma per soddisfare il protagonismo di questo o quell’altro uomo politico (“voglio anch’io una mia legge contro l’internet”) e le potenti lobby delle case discografiche o di software, cui poco importa se leggi come questa siano applicabili o funzionali, ma piace “terrorizzare” chi non asseconda i loro avidi interessi.
ALCEI (Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica Interattiva) è l’associazione che dal 1994 si batte, a livello nazionale e internazionale per il rispetto dei diritti del cittadino nell’uso delle reti telematiche. È founding member della Global Internet Liberty Campaign (GILC)