Roma – “Nel 2003 sono stati liberati diversi cyberdissidenti, tra cui il giovane Tunisino, Zouhair Yahyaoui , che ha comunque passato in carcere più di un anno per aver aperto un sito satirico che aveva osato ironizzare sul presidente Zinedine Ben Ali. La giovane Liu Di , conosciuta nei forum cinesi di discussione con il nickname di “il mouse inossidabile”, è stata liberata dopo un anno di detenzione in una località segreta”.
Si apre così il breve ma drammatico capitolo che Reporters sans frontières dedica a Internet e alla libertà di parola sulla rete delle reti nel proprio “Bilancio 2003 – un anno nero per la libertà di stampa”.
“Malgrado queste liberazioni – spiegano quelli di RSF – la Cina continua a vantare il triste primato del più grande carcere del mondo per gli internauti: al primo gennaio 2004, 48 internauti sono prigionieri grazie alla temibile efficienza della cyberpolizia cinese, che conta oltre 30 000 funzionari. Huang Qi, il webmaster del sito www.6-4tianwang.com, è sempre prigioniero nel carcere di Sichuan. Arrestato nel giugno 2000, sta scontando in condizioni estremamente difficili una pena a cinque anni di carcere per aver tentato di rovesciare il potere dello Stato “.
RSF nota come ormai la Cina si sia dotata di tecnologie all’avanguardia nel monitoraggio della rete, sistemi di controllo e gestione del networking spesso forniti al governo cinese dalle grandi società occidentali del settore che hanno interessi nel mercato cinese.
“Il Vietnam – prosegue la nota dell’associazione internazionale – sta seguendo l’esempio del grande fratello cinese.. A tutt’oggi, ci sono nove cyberdissidenti prigionieri. Secondo le fonti di Reporter senza frontiere, è operativo nel paese un dipartimento di ricerca informatica che si dedica esclusivamente alla creazione di programmi made in Vietnam per sorvegliare il Net”.
Oltre alla Cina e al Vietnam, gli altri paesi che hanno scelto con ogni mezzo di usare il pugno di ferro con Internet sono le Maldive (dove ci sono tre cyberdissidenti prigionieri), la Birmania , la Corea del Nord , Cuba (i riferimenti alla loro attività su Internet sono presenti nei capi d’accusa contestati alla gran parte dei giornalisti arrestati a fine marzo 2003), l’ Arabia Saudita , la Tunisia e diversi paesi dell’ex-URSS, come l’ Uzbekistan e il Turkmenistan .