Roma – Leggo con interesse l’intervista a Enzo Mazza , direttore generale FIMI, il quale, sulla scia di quanto avvenuto oltreoceano, vorrebbe denunciare, penalmente, gli utenti di sistemi di file sharing o P2P (preferisco il primo termine, più ampio).
E’ sempre così. Gli italiani guardano agli Stati Uniti pensando che laggiù sia tutto perfetto, da copiare malgrado ci si renda poco conto che un sistema anglosassone ha regole ben diverse e che la RIAA ha già perso qualche battaglia su questo fronte (v. richieste ai provider di nominativi di utenti file sharing).
A parte ciò, la cosa va pur vista sotto l’aspetto giuridico (italiano), l’unico che può interessare ad un’ipotetica Procura italiana investita della questione.
Come ho già avuto modo di scrivere in una lettera inviata, proprio a PI , nel giugno 2003 (a seguito della notizia sensazionalistica di un’indagine i cui veri termini sono ancora misteriosi, ma che sono stati ridimensionati a fronte di numerose voci alzatesi per svelarne le incongruenze), il solo fatto di condividere materiali protetti non porta al penale, anzi.
Di certo, la condivisione di opere protette non è legale (e la questione della copia personale, come dice Mazza, è realmente poco pertinente, per nulla giustificativa), ma il salto al penale è decisamente uno spauracchio, realmente poco ponderato sotto il profilo giuridico. Vediamo perché, circoscrivendo l’indagine alle opere musicali, sicuramente quelle più diffuse nella condivisione.
L’art. 171-ter l. 633/41 (la legge base sul diritto d’autore) sanziona, penalmente, una serie di condotte che, però, devono essere caratterizzate dal dolo di lucro, vale a dire con l’intento di realizzare un guadagno (non ipotetico) di carattere patrimoniale.
Ma quanto persone fanno file sharing per trarre questo genere di vantaggio? Realmente poche… una minoranza.
Ecco perché, nei fatti, il file sharing non ha, di solito, rilevanza penale. Ciò non significa, come avvertito, che sia legale. A parte le azioni civili del caso, la legge sul diritto d’autore prevede, infatti, sanzioni amministrative residuali, rispetto a quelle penali, applicabili a “chiunque abusivamente utilizza, anche via etere o via cavo, duplica, riproduce, in tutto o in parte, con qualsiasi procedimento, anche avvalendosi di strumenti atti ad eludere le misure tecnologiche di protezione, opere o materiali protetti, oppure acquista o noleggia supporti audiovisivi, fonografici, informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni della presente legge, ovvero attrezzature, prodotti o componenti atti ad eludere misure di protezione tecnologiche” .
Come dice Enzo Mazza, pur smentendosi rispetto ad una precedente intervista , non rileva, inoltre, la quantità dei materiali protetti condivisi. Ma non va dimenticato che occorre pur sempre l’intento lucrativo; e se non c’è, anche in caso di grosse quantità, il penale non rileva. Per gli ingenti quantitativi , sempre in assenza di dolo di lucro, c’è un’apposita previsione amministrativa aggravata (il secondo comma sempre dell’art. 174-ter l. 633/41) e basta.
Infine, atteso che i poteri degli accertatori di illeciti amministrativi (in buona sostanza, quelli previsti dalla l. 689/81) sono assai più contenuti e meno invasivi rispetto a quelli a disposizione dell’autorità giudiziaria penale, non penso che la denuncia penale sia una mossa corretta e di sicuro successo. A meno che non si ritenga che la magistratura non sia in grado di discernere tra fatti di rilevanza penale e illeciti amministrativi e che riponga la massima fiducia nell’interpretazione dei discografici procedendo ad intercettazioni, perquisizioni e sequestri del tutto illeciti mettendo in discussione l’impianto di legalità di un intero Paese.
avv. Daniele Minotti – Genova
Studio Minotti