Philadelphia (USA) – La crociata legale dell’associazione americana dei discografici RIAA deve nuovamente adattarsi a requisiti formali che la major speravano fossero superati. Un tribunale di Philadelphia nelle scorse ore ha infatti respinto una denuncia che chiamava in causa più di 200 utenti del peer-to-peer accusati dalla RIAA di aver condiviso illegalmente file protetti.
Stando ai giudici federali di Philadelphia, le major non possono infilare in un unico provvedimento di denuncia tutti gli utenti che intendono portare in tribunale ma devono formalizzare una denuncia completa di tutti i dati in loro possesso, come i numeri IP dei computer rilevati sui sistemi P2P, per ciascuno degli utenti.
La decisione del giudice significa per la RIAA una maggiore perdita di tempo e denaro per predisporre la documentazione necessaria.
Soddisfazione per la scelta del tribunale è stata espressa dalla Electronic Frontier Foundation . “Siamo felici – ha spiegato uno dei legali dell’associazione che si batte per i diritti digitali – che il giudice abbia riconosciuto come la RIAA stesse tentando di aggirare le regole raggruppando gli oltre 200 utenti e considerandoli come una unica banda di condivisori “. “Riteniamo – ha continuato il rappresentante EFF – che ciascuno di coloro che viene denunciato abbia il diritto ad un proprio procedimento e debba valutare i propri interessi e la propria privacy indipendentemente da chiunque altro venga denunciato”.
Secondo la EFF in questo caso le spese per le denunce della RIAA totalizzeranno 30mila dollari .
Va detto che la decisione di Philadelphia non inficia altre azioni della RIAA che sono basate su una unica denuncia a fronte di una molteplicità di utenti. E va anche ricordato che in passato la RIAA aveva potuto agire diversamente perché era nelle condizioni di denunciare utenti con nome e cognome, e questo perché autorizzata ad ottenere dai provider i loro dati a fronte della rilevazione di un certo IP sulle reti peer-to-peer. Una possibilità che, come si ricorderà, le è stata negata dopo la vittoriosa battaglia legale del provider Verizon che non ha voluto rivelare i nomi dei propri clienti.