Privacy, abitudini da paura

Privacy, abitudini da paura

Le rivelazioni di Snowden spaventano la metà dei cittadini statunitensi. Ma non tutti hanno preso provvedimenti per tentare di tutelarsi, soprattutto per questioni di disinformazione
Le rivelazioni di Snowden spaventano la metà dei cittadini statunitensi. Ma non tutti hanno preso provvedimenti per tentare di tutelarsi, soprattutto per questioni di disinformazione

Il Centro di Ricerca Pew ha condotto un nuovo studio sulle abitudini degli utenti online, concentrandosi sulla percezione relativa alla privacy e le (eventuali) soluzioni assunte per tutelarla.

Lo studio, in realtà, ha analizzato specificatamente il cambio di atteggiamento conseguente alle rivelazioni dell’ex contractor della National Security Agency (NSA) Edward Snowden: ormai due anni ha iniziato a divulgare informazioni dettagliate su come e quanto le autorità stesse avessero condotto operazioni di intercettazioni di massa da cui né i potenti né i cittadini americani sono stati immuni. Nei documenti ottenuti e divulgati da Snowden vi sono le prove di diversi programmi di intercettazione attraverso cui le spie a stelle e strisce avrebbero raccolto conversazioni e metadati indiscriminatamente e senza bisogno di un mandato specifico, il tutto sotto il cappello della lotta al terrorismo.

Secondo quanto si legge nello studio Pew, dunque, circa nove persone su dieci (su una popolazione statunitense di adulti) riferiscono di essere anche un minimo venuti a conoscenza delle operazioni di sorveglianza di massa delle autorità su telefoni ed Internet ed il 52 per cento si definisce “molto preoccupato” o comunque “preoccupato”.

Nel dettaglio, tra coloro che sono venuti a conoscenza di tali fatti, circa il 34 per cento ha preso provvedimenti, anche solo una contromisura, per nascondere la propria identità online o proteggere le informazioni condivise.

Nel dettaglio, il 17 per cento ha cambiato le impostazioni di privacy sui social network, il 15 per cento ha iniziato ad usarli meno, un altro 15 per cento ha iniziato ad evitare alcuni tipi di app ed il 13 per cento le ha anche disinstallate). Il 14 per cento di questi intervistati, inoltre, ha iniziato a parlare di alcune cose preferibilmente di persona piuttosto che via telefono ed una percentuale simile ha smesso di utilizzare online alcuni termini ch potrebbero generare sospetti.

Nel 25 per cento dei casi, invece, gli utenti hanno cambiato molto in conseguenza delle rivelazioni di Snowden, relazionandosi in maniera diversa sia ai social network che alle comunicazioni online e telefoniche in generale.

Nella quasi metà dei casi, invece, gli utenti non hanno fatto nulla per difendere la propria privacy: nel 54 per cento dei casi ciò deriva dalla convinzione che sarebbe molto difficile trovare strumenti o strategie efficaci.

Un errore, risponde indirettamente Edward Snowden: intervenuto ultimamente per raccontare quanto fatto negli ultimi anni, afferma al contrario che sta ai singoli individui, oltre che agli intermediari che mettono a disposizione le tecnologie di cui sono utenti, fare ora qualcosa per disinnescare i meccanismi della sorveglianza di massa.

D’altronde, come mette in luce il rapporto Pew, in gran parte l’ostacolo è rappresentato dalla mancata conoscenza di strumenti ad hoc: il 31 per cento di coloro che non agisce per tutelarsi non conosce per esempio i servizi di cifratura per le email, il 13 per cento non conosce gli strumenti messi a disposizione dei browser per cancellare cookie e cronologia di navigazione ed in generale il 31 per cento non sa dell’esistenza dei plug-in per proteggere la privacy nella propria navigazione. Ancora maggiore la percentuale (40 per cento) di coloro che non conoscono software come Tor o la possibilità di appoggiarsi a dei proxy per schermare la propria navigazione (33 per cento).

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
19 mar 2015
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