Profste.com/La lezione di Boo.com

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Sistema sito labirintico e pressocchè inutilizzabile, business management povero, gestione dei costi fuori controllo: così Boo.com è diventata la miniera delle cose da evitare
Sistema sito labirintico e pressocchè inutilizzabile, business management povero, gestione dei costi fuori controllo: così Boo.com è diventata la miniera delle cose da evitare


Web – Giovedì scorso ero fuori per una pizza e incontro un mio conoscente. Gli chiedo come procede il suo lavoro in banca e mi risponde che lo ha lasciato per “buttarsi nella new economy”. Di lì inizia a descrivermi degli investimenti fatti per il suo start up. Uffici prestigiosi nel centro di Milano, server, impianti e quanto di più moderno e costoso i soldi possano comprare. A quel punto gli domando di cosa si occupa e lui mi dice: web-design. Rilancio chiedendo che siti hanno realizzato e mi dice: “Il nostro, che è bellissimo!”. L’indirizzo del sito è di quelli che non ricorderesti neanche per un attimo e comunque sarà in linea solo dalla settimana prossima, dato che il costoso server non è ancora arrivato…

Chissà cosa avrebbero pensato i fondatori di Boo.com se avessero ascoltato le affermazioni del novello imprenditore web.

Il giorno dopo infatti trovo la notizia che annuncia il collasso di Boo.com. Di Boo mi ero già occupato quest’inverno quando aveva annunciato una riduzione del personale del 10%, dovuta a ristrutturazioni.

Tutto iniziò in novembre quando col lancio di Boo, dopo una serie di ritardi, si lessero diversi articoli che parlavano dei due fondatori come dei geni e profeti della new economy. Su Elle erano già stati descritti in passato come due rock star letterarie europee.

I due, che hanno in tasca il 40% di Boo, sono Ernst Malmsten (ex critico letterario svedese) e l’ex-modella svedese Kasja Leander, che avevano già creato, nel 97, un sito di vendita libri, per lanciare autori promettenti sul mercato svedese. La settimana scorsa Ernst dichiara al Financial Times: “Volevamo che tutto fosse perfetto, il mio errore è stato quello di non avere un referente con una forte gestione finanziaria”.

Su questo non c’è dubbio: nell’ultimo periodo le perdite di Boo si aggiravano intorno al milione di dollari (oltre 2 miliardi di lire) alla settimana.

L’investimento iniziale in Boo era stato di 120 milioni di dollari. Bernard Arnault (Luis Vuitton) detiene l’8%. La 21 investimenti (fondo privato che fa capo a chi detiene il pacchetto di controllo del gruppo Benetton) aveva pagato 4 milioni di dollari per il 5% un anno fa. Altri partecipanti sono: J.P. Morgan, Goldman Sachs, Bain Capital, Zouk Partners, Eden Capital, SEDCO Capital e Millennium.

Gli investitori hanno respinto un appello per un’altra iniezione di cash da 30 milioni di dollari che avrebbe dovuto supportare un piano di ristrutturazione. Questo ha aperto la strada ai liquidatori.

Le ragioni del fallimento del progetto sono semplici. Un sistema semi inutilizzabile di gestione del sito, che richiede un’accesso veloce al web: una nota sull’home page recita che è tutto ottimizzato per modem 56k o superiori ma, provare per credere , col modem è tutto ridicolmente lento. Questo, unito ad un business management povero e ad una gestione dei costi fuori controllo, capace di bruciare cash a ritmi impressionanti, ha fatto di Boo il primo vero e proprio fallimento tra gli start up europei, che già avevano mostrato grossi problemi con gli IPO dell’olandese World Online e dell’inglese lastminute.com.

Ora circa 300 dipendenti dello staff Boo perderanno il loro lavoro, ricevendo solo un assegno da 800 pound (2 milioni e 400mila lire). Numerosi fornitori non ricevono pagamenti da mesi.

La Merryl Lynch di Londra prevede che il 75% degli start up europei scomparirà nei prossimi anni. La PricewaterhouseCoopers ha dichiarato che la maggior parte delle società internet inglesi avrà problemi di cash nei prossimi 15 mesi e un quarto di queste nei prossimi sei.

Le prospettive non sono rosee e dovrebbero far riflettere il mio conoscente e chi, come lui, si sta “buttando nella new-economy”. Da noi il fenomeno è agli inizi e le conseguenze di certi eccessi ed errori non si sono ancora viste. Resta il fatto che il concetto di e-business resta valido e non è assolutamente da ritenere che tutti i modelli B2C (Business-to-consumer), come Boo, falliranno.

Tutti dovremmo imparare da Boo un’importante lezione, cercando di evitare simili errori. Le strategie e i business plan devono fare sempre i conti con la realtà, senza mai dimenticare le regole della old economy (che old non saranno mai), prima fra tutte la gestione finanziaria.

Non bisogna mai prescindere da quello che i nostri consumatori vogliono veramente: la grafica è bella, ma se rallenta tutto può diventare inutile e dannosa. Gli start up dovrebbero operare con budget da start up, non con quelli delle imprese Fortune 500. Non serve avere uffici nelle zone più prestigiose della città, Boo aveva la sede in Carnaby Street a Londra, laddove situazioni più modeste potrebbero limitare le uscite e il budget.

Prima di fare grandi dichiarazioni, come il mio conoscente, sarebbe bene lavorare un po ‘ nell’ombra, fare gli errori che tutti fanno con un pubblico ristretto e limitato cercando di lavorare sulla strategia e la tecnologia, più che sull’immagine e le pubbliche relazioni.

Stefano Bargiacchi
Profste.com

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Pubblicato il
23 mag 2000
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