Twitter e l'affare da un miliardo

Twitter e l'affare da un miliardo

Un miliardo di cinguettii, un miliardo di dollari, un miliardo di utenti? I servizi web 2.0 crescono ma non maturano. E c'è chi crea applicazioni che potrebbero anche diventare pericolose
Un miliardo di cinguettii, un miliardo di dollari, un miliardo di utenti? I servizi web 2.0 crescono ma non maturano. E c'è chi crea applicazioni che potrebbero anche diventare pericolose

Al ritmo di migliaia ogni ora, i tweet (cinguettii) degli iscritti al celebre servizio di nanoblog (o nanochat?) Twitter si sommano fino a raggiungere e superare il miliardo : tanti sono i messaggi da 140 caratteri finiti online sulla piattaforma della startup statunitense, che a quasi due anni dalla sua nascita non ha ancora un modello di business definito. Un problema comune a molti altri servizi di nuova generazione.

Si parte dall’attualità spicciola. Nelle ultime ore si parla di due argomenti nella twittersfera: del miliardo di messaggi, almeno secondo il conteggio (più o meno attendibile) di popacular.com , e di Twitterank . Il primo ormai segna quasi 1.005 milioni di tweet, che aumentano vertiginosamente ad ogni istante al ritmo di diverse centinaia al minuto, fissando l’ora X della svolta a circa le 7:00 del mattino dello scorso martedì . La notizia, di per sé, non rappresenta proprio una svolta epocale, ma rende chiaramente l’idea del volume di messaggi in transito su una community relativamente piccola come Twitter: il numero di messaggi scambiati altrove è decisamente più alto .

L’altro argomento di conversazione, Twitterank , è invece un filo più complesso: fornendo la propria ID e la propria password si ottiene una valutazione del proprio status mediante un algoritmo che comprende frequenza di cinguettata , numero di follower e altro. Per qualche ora è stato tutto un fiorire di dichiarazioni sul proprio rank, con la consueta gara a chi ce l’ha più lungo più alto: fino a quando qualcuno non ha fatto notare che consegnare ad un perfetto sconosciuto la password del proprio account non era esattamente una procedura particolarmente sicura e lungimirante.

Si chiama phishing : convincere qualcuno a fornire le chiavi di accesso di un servizio mediante un’esca convincente. In questo caso una classifica di qualche tipo, in altri casi un problema sul conto in banca o la possibilità di scaricare sfondi del desktop. Per fortuna che, almeno stavolta, il diretto interessato abbia chiarito che chiunque abbia usato Twitterank non corre rischi, visto che le password non sono state registrate e che il servizio è stato pensato solo per creare una estensione divertente senza particolari pretese (almeno per il momento).

Il problema di fondo, probabilmente, è proprio questo: a Twitter e molti altri servizi web 2.0 manca (apparentemente) uno schema di fondo, capace di trasformare in moneta sonante un successo planetario che in fin dei conti va oltre i semplici numeri. È una sorta di circolo vizioso: per crescere bisogna investire (anche solo in infrastruttura e costi di gestione), per investire occorre ricevere finanziamenti, per ricevere finanziamenti è necessario un piano industriale e conti in regola . Soprattutto in una congiunzione economica come quella attuale.

Ad oggi né YouTube, né Facebook, e men che meno Twitter, sono riusciti a convincere gli investitori a puntare massicciamente su di loro. Nessuno ha, nel proprio arsenale, la freccia che vada sempre a segno: nessuno ha la killer application in grado di sbancare per popolarità e capacità di garantire un ritorno economico adeguato. Lo dicono i numeri , lo dicono le media agency : quanto passerà prima che anche questo bubbone questa bolla esploda?

Luca Annunziata

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Pubblicato il
14 nov 2008
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