Ubisoft e la pirateria che fa gioco

Ubisoft e la pirateria che fa gioco

Il discusso colosso videoludico prova a giustificare il passaggio (massiccio, apparentemente) ai giochini casual e free-to-play: la quasi totalità di utenti PC è pirata, sostiene Ubisoft
Il discusso colosso videoludico prova a giustificare il passaggio (massiccio, apparentemente) ai giochini casual e free-to-play: la quasi totalità di utenti PC è pirata, sostiene Ubisoft

Ubisoft si prepara al grande balzo verso il sotto-genere “free-to-play”, supposta ancora di salvezza per un mercato – quello dei videogame per PC – rovinato da livelli di pirateria a livelli metastatici. Ma i numeri riferiti dal publisher non convincono.

Stando al CEO di Ubisoft Yves Guillemot, infatti, una fetta fra il 93 e il 95 per cento dei giocatori su PC è costituita da pirati che non pagano un centesimo per il prodotto: passando a pubblicare micro-esperienze ludiche sotto forma di titoli gratuiti con l’opzione di acquistare oggettistica in-game, dice Guillemot, il 5-6 per cento degli utenti sceglierebbe di supportare finanziariamente l’esperienza.

Il guadagno che si potrebbe racimolare coi titoli F2P sarebbe insomma lo stesso di quanto attualmente Ubisoft incassa dalla vendita di giochi “tripla-A” per PC, un sillogismo che il publisher transalpino prova a sfruttare per preparare il terreno a quella che dovrebbe essere una transizione massiccia e con importanti ripercussioni per il futuro.

Il problema delle cifre usate da Guillemot nei suoi ragionamenti al limite del sofismo? Si tratterebbe di numeri campati in aria senza la benché minima prova concreta a supporto : queste cifre sulla pirateria di Ubisoft – società che ultimamente è nota più per le sue DRM draconiane e bucherellate che per i suoi prodotti videoludici – servirebbero secondo alcuni osservatori a dare una giustificazione al passaggio al F2P, sotto-settore del mercato ludico che richiede molte meno risorse per lo sviluppo dei “giochi” ed è potenzialmente in grado di generare ricavi sostanziosi come nel caso di Angry Birds.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
24 ago 2012
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