Un biochip che restituisce la vista

Un biochip che restituisce la vista

Chip impiantati direttamente nell'occhio per sconfiggere definitivamente le malattie degenerative dell'apparato visivo. Fantascienza? No, anzi, alcuni progetti avanzati sono in dirittura d'arrivo
Chip impiantati direttamente nell'occhio per sconfiggere definitivamente le malattie degenerative dell'apparato visivo. Fantascienza? No, anzi, alcuni progetti avanzati sono in dirittura d'arrivo

Prove di fusione definitiva tra apparati organici e processori al silicio, scienze biologiche e tecnologie informatiche. Non siamo ancora arrivati alla macchina di Turing biologica , ma gli innesti di microscopiche unità computazionali all’interno di organismi viventi complessi fa un altro passo verso la direzione indicata da anni dal fortunato filone della fantascienza cyber-punk . Scienziati dell’ Università della Pennsylvania hanno annunciato la realizzazione di un chip impiantabile direttamente nell’occhio umano, capace di restituire la vista alle persone affette da gravi forme di degenerazione cellulare dell’apparato visivo.

Il microchip è frutto di un progetto pensato per combattere la retinite pigmentosa , malattia degenerativa di origine genetica che distrugge progressivamente tutte le cellule retinali, unità biologiche fondamentali responsabili della transcodifica dei segnali luminosi catturati dall’occhio in impulsi nervosi inviati al cervello per l’interpretazione. Col passare degli anni, l’intero tessuto retinico viene affetto dal morbo fino alla perdita totale della vista da parte del paziente.

Non è la prima volta che si registrano notizie di ricerche volte a restituire la vista con innesti tecnologici : ricordiamo a tal proposito il lavoro dei ricercatori dell’ Università di Stanford , e il loro occhio bionico servo-assistito da computer e mini-telecamere esterne. In quel caso, la microcamera montata su uno speciale paio di occhiali catturava le informazioni visive che, una volta processate da un computer esterno, venivano trasmesse in wireless all’innesto tecnologico presente nell’occhio del paziente.

L’approccio del Penn è molto più sofisticato: il microprocessore viene impiantato a diretto contatto con il nervo ottico , e da solo si occupa di catturare la luce e convertirla in segnali interpretabili dalla zona della corteccia adibita alla visione, esattamente come gli impulsi nervosi generati da un apparato visivo perfettamente funzionante. Non solo: il bio-chip sarebbe in grado di replicare la maniera in cui una retina sana percepisce il movimento e adatta l’intensità della luce e il contrasto dei colori.

Un design minimale e perfettamente mimetizzato nel tessuto vitale dell’organismo , una fusione quasi perfetta di corpo e macchina in grado finalmente di realizzare uno dei sogni a lungo accarezzati dai ricercatori e dagli scienziati di mezzo mondo. O almeno è quello che promettono quelli del Penn : prima che si passi alle sperimentazioni cliniche, e si possa quindi verificare quanto di concreto ci possa essere nelle speranze suscitate da annunci del genere, il prossimo passo della ricerca consisterà nel ridurre ulteriormente le dimensioni del chip-innesto e il consumo di energia necessario al suo funzionamento continuato.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
23 ott 2006
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