Un nuovo rapporto del Comitato del Senato USA sule Forze Armate sostiene di aver identificato “intrusioni cinesi” all’interno dei sistemi di infrastrutture vitali e contractor della Difesa statunitense. Un’accusa con la pistola scarica, visto che di prove concrete non se ne parla, ma sufficiente a evocare l’istituzione di nuove policy di risposta coordinata ai minacciosi hacker-di-stato asiatici.
Sono 20, in particolare, le intrusioni (o altro genere di cyber-eventi non meglio specificato) che il Comitato sostiene di aver scovato su un periodo di tempo di 12 mesi, e nove di queste intrusioni erano indirizzate ai network di altrettanti contractor della Difesa. Dietro i cyber-attacchi ci sono i militari cinesi, su questo il Senato del paese impelagato nel clamoroso scandalo del Datagate non sembra avere alcun dubbio, sebbene non venga fornita nemmeno l’ombra di una prova concreta a supporto della nuova accusa contro gli hacker d’oriente.
Gli attaccanti sono riusciti a sottrarre email, documenti, chiavi d’accesso di account e codice sorgente dai contractor, dalle società di trasporto civili – ma usate anche dai militari – su una nave commerciale e altrove, accusa il Comitato del Senato USA. Quel che è peggio, dice ancora il rapporto, è che le aziende coinvolte negli incidenti non ne hanno fatto parola con le autorità, un fallimento nella disclosure altrettanto inquietante degli attacchi veri e proprio e che spinge i senatori a evocare nuove policy di coordinamento per evitare il ripetersi di nuovi incidenti in futuro.
La Cina non ha ancora risposto ufficialmente al rapporto USA anche se, visti i trascorsi recenti, i toni degli eventuali commenti di Pechino sono abbastanza prevedibili: la potenza asiatica ha sempre negato ogni responsabilità nelle numerose occasioni in cui è stata accusata di cyber-spionaggio dagli Stati Uniti o da altri paesi occidentali, anche quando tali accuse provenivano da un’azienda (statunitense) del calibro di Google .
Alfonso Maruccia