USA schierati con Amazon per il dominio omonimo

USA schierati con Amazon per il dominio omonimo

Gli Stati Uniti appoggiano il sito di Jeff Bezos per l'assegnazione di .amazon, conteso tra azienda e paesi latinoamericani. Ma la questione si intreccia con il passaggio di consegne degli States in ICANN
Gli Stati Uniti appoggiano il sito di Jeff Bezos per l'assegnazione di .amazon, conteso tra azienda e paesi latinoamericani. Ma la questione si intreccia con il passaggio di consegne degli States in ICANN

Il gruppo U.S. Congressional Trademark ha deciso di esprimere il proprio supporto ad Amazon.com nel suo tentativo di aggiudicarsi il generic top-level domain (gTLD) .amazon .

Dopo la liberalizzazione dei domini generici di primo livello da parte dell’ Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) nel 2013, l’azienda di Jeff Bezos era stata tra le prime a far richiesta. Tuttavia il suo interesse per il controllo del gTLD omonimo era stato contestato dal Governmental Advisory Committee (GAC) dell’ICANN su pressione di alcuni paesi latinoamericani, in particolare quelli bagnati dal fiume Amazon (Rio delle Amazzoni).

Da allora, dunque, la questione è rimasta in stallo: da un lato ci sono Perù e Brasile a guidare un gruppo di nazioni del Sud America e a far pressione sull’organo dell’ICANN che rappresenta la posizione degli Stati, dall’altro ci sono gli interessi commerciali di Amazon. Così l’estensione .amazon non è stata mai assegnata, nonostante Amazon affermi di aver cercato di negoziare in buona fede con i rappresentanti delle regioni amazzoniche, offrendo assistenza per aggiudicarsi altre estensioni come per esempio .amazonas e diritti di prelazione sui termini geografici e culturali di interesse all’interno del .amazon .

La questione si gioca sulla bilancia degli interessi in ballo: l’azienda americana vanta il peso di un marchio ormai noto e contesta a Brasile e Perù di non avere basi d’appoggio, nessun diritto legale riconosciuto sul termine “Amazon” paragonabile alla sua proprietà intellettuale o tantomeno accordi internazionali su tale argomento; i paesi cercano di difendere il nome in quanto storicamente e culturalmente rilevante.

Questione, insomma, di proprietà intellettuale e tradizioni ed interessi dei popoli, marchi contro conoscenze e nomi tradizionali: il tutto sembra ora assumere le sfumature della diplomazia e degli equilibri di forza internazionali, con le istituzioni a stelle e strisce che si schierano dalla parte della propria azienda, forte di un marchio e del rispetto delle regole stabilite da ICANN per l’assegnazione della gestione delle nuove estensioni.
La decisione sembra essere formalmente corretta nella tempistica: l’organo degli Stati Uniti ha deciso di intervenire solo in seguito alla cessione delle chiavi di controllo di ICANN da parte di Washington. Al contempo suona meno corretta in ciò che lascia intendere: lo U.S. Congressional Trademark sembra insinuare che con tale decisione ICANN debba dimostrare – in vista del definitivo passaggio di consegne delle redini dei root DNS – di saper rispettare i diritti di tutte le parti in causa. In un certo senso sembra mettere sullo stesso piatto la questione dell’Internet Governance e l’interesse particolare di Amazon.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
25 giu 2015
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