La Follia del Tecnorifiuto

La Follia del Tecnorifiuto

I rottami vengono scaricati in Cina, e trattati senza il minimo rispetto per l'ambiente e i lavoratori. Un traffico inquietante su cui prosperano paesi ricchi e faccendieri
I rottami vengono scaricati in Cina, e trattati senza il minimo rispetto per l'ambiente e i lavoratori. Un traffico inquietante su cui prosperano paesi ricchi e faccendieri

Bruciano in roghi improvvisati e sono disciolti con acidi. Emanano fumi acri, densi e tossici. Sono quel che resta dell’alta tecnologia del mondo ricco. Ora danno lavoro a 150mila operai di Guiyu, area della provincia cinese di Guangdong: lasciano le zone rurali della Cina più povera, disposti ad intossicarsi per 100 dollari al mese.

Montagne di tecnospazzatura a Guiyu Sono sempre più coloro che distillano rame, oro e argento da montagne di rifiuti. Problemi respiratori, allergie, danni al sistema immunitario: la loro salute è minata dai residui di bario, mercurio, ritardanti di fiamma, cadmio e piombo che si disperdono nell’aria, nel suolo e nelle falde acquifere.

Sfilano limousine dai vetri oscurati, accanto agli strilloni che promettono corrispettivi allettanti per il materiale di cui gli operatori della catena del riciclaggio devono sbarazzarsi: vendere all’ecomafia la merce usata è profittevole, spiega ad AP il gestore di un impianto di smaltimento che opera nel rispetto dell’ambiente e della salute dei suoi operai. La polizia locale tace: legittima i traffici dei rifiuti per favori di poco conto, garantisce il via libera agli operatori che lucrano accumulando e trattando la merce inutilizzabile.

Ma i tentacoli delle ecomafie non agiscono solo su base locale: promettono ai doganieri un centinaio di dollari a continer e garantiscono agli operatori del riciclaggio del mondo ricco di scaricare in Cina il materiale da trattare illegalmente: una procedura dieci volte più economica rispetto a quella legale. È così che se la Cina produce annualmente più di un milione di tonnellate di e-waste, nelle discariche della Repubblica Popolare si accatasta il 70 per cento dei rifiuti tecnologici prodotti globalmente, una mole di spazzatura hi-tech che si aggira intorno ai 25 milioni di tonnellate. Del restante 30 per cento, stimano le associazioni ambientaliste, gran parte finisce in altre discariche di paesi emergenti .

Le regolamentazioni? Quando esistono sembrano tradire una certa complicità con gli operatori del riciclaggio senza scrupoli : spesso non sono neppure previste pene per coloro che le infrangono, spesso offrono delle scappatoie agli attori esteri che mirano ad esportare i rifiuti dove è più conveniente trattarli.

Una delle scappatoie sfruttate più spesso è il mascherare da donazioni e da aiuti umanitari i container di rifiuti già prosciugati da tutto ciò che poteva avere un valore sul mercato d’origine. Tattiche adottate dagli attori della catena dei rifiuti anche nelle circostanze più insospettabili: sono spesso incauti gli organizzatori delle iniziative a favore dell’ambiente, nel corso delle quali si invitano i cittadini a liberarsi in sicurezza dei prodotti usati. L’appalto viene assegnato al miglior offerente, e i prodotti a fine vita vengono raccolti senza che nessuno si preoccupi di tracciare il seguito del loro percorso.

Se i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Basilea devono attenersi a specifiche procedure e limitazioni per le esportazioni dei rifiuti tecnologici, quelli che non l’hanno fatto hanno praticamente mano libera. Stati Uniti in primis: trattano all’estero fino all’80 per cento delle 400mila tonnellate di materiale destinato al riciclaggio e scaricano fuori dai propri confini 2 milioni di tonnellate di tecnospazzatura.

Le proposte di soluzione? Gli attivisti di Basel Action Network suggeriscono di sviluppare un quadro normativo su base internazionale che consegni al produttore la responsabilità del trattamento dei rifiuti, come già dettano le direttive europee in materia che l’Italia ha recentemente recepito e messo in atto . In questa maniera è più probabile che i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche utilizzino materiali più ecologici e migliorino l’ecodesign dei propri prodotti per facilitare lo smaltimento, il riciclaggio e il riuso dei componenti funzionanti.

Una proposta supportata anche dalla United Nations University ( UNU ), impegnata nel progetto StEP in seno alla Comunità Europea. Per affrontare le spese senza fare affidamento su irresponsabili operatori esteri, in un rapporto stilato di recente per la Commissione Europea, si suggerisce l’armonizzazione dei quadri legislativi, si invita alla responsabilizzazione dei produttori e degli operatori della catena dei RAEE , e alla sensibilizzazione del cittadino ad una corretta procedura di raccolta dei rifiuti.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 20 nov 2007
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