Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) il livello di istruzione e l’infusione di tecnologia nelle classi non sono direttamente correlate. Anzi, c’è il rischio che i nuovi strumenti non aiutino affatto gli alunni ad apprendere.
Lo studio OCSE si è concentrato in particolare sulla diffusione e sull’impatto della tecnologia nelle scuole , misurando i dispositivi distribuiti ed utilizzati nelle classi, il tempo che gli studenti hanno trascorso con essi e comparando tali fattori ai risultati del test internazionale PISA che misura le abilità e le competenze sviluppate dagli alunni.
Il test PISA preso in considerazione dal rapporto è relativo al 2012 ed ha riguardato più di 500mila studenti di 15 anni di tutto il mondo e la sua comparazione con la diffusione dei computer, quando solo un terzo di quegli studenti utilizzava computer in classe, ha rilevato come i sistemi educativi che hanno investito pesantemente nell’ICT non abbiano registrato “significativi miglioramenti” nei risultati ottenuti dai propri alunni in comprensione del testo, matematica e scienze.
“Quando i computer entrano in classe, il loro impatto sulle performance degli studenti è al massimo controverso”, ha riferito Andreas Schleicher del dipartimento dell’OECD dedicato all’istruzione.
Se questa conclusione appare assolutamente non determinante, in quanto i test potrebbero non essere pensati per un apprendimento e di conseguenza una conoscenza diversa da quella tradizionale, sorprende un altro dato dello studio OCSE complementare a questo: nelle scuole con il miglior rendimento in termini di orientamento fra le fonti digitali ( digital reading ) e in termini di parametri più tradizionali, ed in particolare alcune asiatiche, pur essendo la tecnologia una parte fondamentale nella vita di tutti i giorni, essa non entra affatto nelle classi.
In ogni caso l’OCSE conclude lo studio affermando che “il reale contributo che l’ICT può dare all’insegnamento e all’apprendimento deve ancora essere esplorato”: per questo invita le scuole a lavorare con gli insegnanti per trasformare la tecnologia in uno strumento importante per il lavoro in classe e per sviluppare software ad hoc che servano al loro scopo.
D’altra parte, le politiche a livello nazionale sembrano decisamente puntare forte sulla digitalizzazione: uno degli ultimi esempi è costituito dalla municipalità di New York che ha annunciato che entro 10 anni tutte le scuole pubbliche della città dovranno offrire l’insegnamento dell’informatica nelle classi.
Stessa direzione è stata assunta dall’Italia: il coding e l’investimento in infrastrutture di connessione e in computer rappresenta uno dei pilastri della riforma della Buona Scuola. Nel rapporto OCSE, d’altra parte, l’Italia nel 2012 si distingueva ancora per una dotazione e un impiego di computer nelle classi inferiore rispetto alla media degli altri paesi: solo un computer ogni quattro studenti di 15 anni e solo due su tre studenti dicevano di utilizzarli nelle scuole.
Claudio Tamburrino