NASA: tu chiamale se vuoi, emozioni

NASA: tu chiamale se vuoi, emozioni

I nuovi vertici dell'ente spaziale parlano di viaggi su Marte. Ma soprattutto di un rinnovato spirito di conquista che potrà sospingere lo sforzo della macchina e degli uomini nei prossimi anni
I nuovi vertici dell'ente spaziale parlano di viaggi su Marte. Ma soprattutto di un rinnovato spirito di conquista che potrà sospingere lo sforzo della macchina e degli uomini nei prossimi anni

Nei quartier generali di NASA l’aria è parecchio cambiata rispetto al passato, o per lo meno questo è quanto prova a far passare la nuova coppia direttiva recentemente nominata dal Congresso. Charles Bolden e Lori Garver, rispettivamente amministratore e vice-amministratore dell’agenzia spaziale americana, parlano alla “famiglia allargata” dei dipendenti NASA evocando grandi scenari accanto ad ambienti quasi da focolare domestico , la necessità di portare i figli al JPL e quella di divertirsi mentre si sparano nello spazio, sulla Luna e su Marte vascelli robotici ed esseri umani insieme.

Con l’accoppiata Bolden-Garver “sono tornati i sentimenti” in NASA, dice lo stesso Bolden arringando la platea divertita e prendendo le distanze dall’approccio razionale dell’ex-amministratore Mike Griffin che voleva essere paragonato al vulcaniano Spock. “I sentimenti non sono stati molto popolari qui alla NASA nel corso degli ultimi anni”, sostiene l’ex-astronauta Bolden, ma ora che uno come lui ha il peso del comando, uno abituato a piangere ed abbracciare per sua stessa ammissione, Spock lascerà il posto al James T. Kirk nell’agenzia spaziale, un’agenzia con una storia più che gloriosa e proiettata verso un futuro incerto ma estremamente ambizioso.

I festeggiamenti per i 40 anno dello storico allunaggio dell’altrettanto storico trio Armstrong-Aldrin-Collins sono lì a dimostrare il passato di NASA con una testimonianza che non permette confutazioni, e pur tra le tante difficoltà del momento sono in molti, fuori e dentro l’agenzia, a spingere per un rinnovo delle ambizioni che portarono alla più grande impresa tecnologica del secolo scorso . Tutti alla NASA vogliono mandare un equipaggio su Marte, dice Bolden alla platea raccolta a Washington D.C., il problema sta nell’accordarsi sul “come” far ammartare gli astronauti sul pianeta rosso.

Attualmente ci sono due correnti di pensiero sull’argomento, e cioè chi preferirebbe tornare prima sulla Luna con un’installazione permanente da usare come base intermedia tra la Terra e Marte, e chi al contrario vedrebbe con maggiore favore un lancio diretto verso il nostro “dirimpettaio” più prossimo nel Sistema Solare. La questione sarà finalmente risolta quando si arriverà a sintetizzare un piano solido e coerente, dice Bolden, su cui si potranno concentrare tutti gli sforzi, le energie e i fondi di cui potrà disporre NASA assieme alle principali agenzie spaziali del pianeta (Terra).

Riportando per un istante i piedi per terra e la testa fuori dalle nuvole marziane, l’altro tema affrontato dalla nuova dirigenza dell’agenzia USA riguarda il suo dover essere “community”, il suo ruolo come luogo di raccolta delle famiglie degli impiegati per i picnic della domenica nei vari centri in cui è segmentato il moloch burocratico e tecnologico di NASA. E soprattutto ci vuole passione , dice Bolden, una passione che dovrebbe spingere i dipendenti dell’agenzia a sentirsi coinvolti ed “eccitati” tutte le mattine in cui si recano al lavoro.

Riportare l’uomo (e gli americani) nello spazio esterno è insomma prima di tutto un fatto di cuore e poi di testa, ed è all’insegna dello stesso approccio grandioso e un po’ folle che sembrano muoversi gli inglesi del British National Space Centre (BNSC), che tra le altre cose stanno valutando la possibilità di modificare il principio sin qui affermato di non finanziare nessuna missione spaziale che coinvolga cittadini del Regno Unito o di qualsiasi altra nazionalità. Si parla, anche qui, di Marte e di uno sforzo necessariamente corale di tutte le nazioni del mondo per raggiungere l’obiettivo.

E mentre si paragona l’esplorazione dei pianeti esterni ai viaggi dei primi esploratori degli oceani, o dei pionieri del West che mettevano in conto – come potrebbero eventualmente fare nazioni meno evolute degli Stati Uniti o di quelle dell’Unione Europea – di non ritornare più indietro una volta raggiunta la destinazione (vivi o morti che fossero), la tecnologia procede anche per quanto riguarda le più “banali” installazioni utili a osservare il cosmo più lontano.

In tema di osservazioni, l’Hubble Space Telescope ha certamente avuto innumerevoli occasioni per ricoprirsi di gloria con i suoi potenti occhi elettronici, ma nei prossimi anni il Grande Osservatorio in orbita negli strati esterni dell’atmosfera terrestre dovrà lasciare il posto e la gloria al più grande telescopio del mondo in via di costruzione alle Hawaii. Atteso al varo entro il 2018, il telescopio sarà dotato di uno specchio di 30 metri composto da 492 differenti segmenti, distanzierà di parecchie lunghezze le attuali capacità di osservazione di Hubble e sarà nove volte più grande di qualsiasi telescopio terrestre attualmente in attività.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
23 lug 2009
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