Una darknet per il P2P anonimo

Una darknet per il P2P anonimo

A proporla sono i promotori del Freenet Project, che hanno appena presentato una pre-alpha e che invitano programmatori ed hacker ad unirsi all'iniziativa. Partono intanto nuove denunce in Corea e UK
A proporla sono i promotori del Freenet Project, che hanno appena presentato una pre-alpha e che invitano programmatori ed hacker ad unirsi all'iniziativa. Partono intanto nuove denunce in Corea e UK


Roma – Se ne è parlato nei giorni scorsi ma ora sulle pagine del Freenet Project : i suoi autori hanno annunciato la disponibilità di una pre-alpha al momento in fase di testing “semi-pubblica”: l’oggetto è un nuovo software di approccio ad una sottorete capace di consentire lo scambio anonimo di file .

Al recentissimo DEFCON due dei promotori di Freenet, Ian Clarke e Oskar Sanderberg hanno parlato di questa novità spiegando che nasce dal concetto che una rete decentralizzata non basta a proteggere i singoli utilizzatori. L’idea di fondo, dunque, è ricorrere ad un network composto da trusted friends , ossia da utenti considerati “sicuri”, una rete evidentemente capace di resistere alle “infiltrazioni” di chi può voler scoprire quali file vengono scambiati e da chi.

Il riferimento formale per la nascita di questo software è ancora una volta il tentativo di mettere a punto uno strumento anti-censura capace di offrire maggiori libertà agli utenti di paesi in cui vige un pesante controllo sulle comunicazioni elettroniche, come la Cina, l’Arabia Saudita e molti altri.

Questa nuova rete, denominata Dark , da cui l’appellativo darknet , è concettualmente simile al notissimo Waste , applicativo dal funzionamento complesso basato su sistemi di cifratura. Il vantaggio, hanno spiegato Clarke e Sanderberg, è che in una rete del genere soltanto i “trusted friends” sanno che un certo utente è collegato; lo svantaggio maggiore risiede invece nel fatto che le reti così create non sono tra loro interconnesse e tendono a non essere scalabili , incapaci di gestire grandi numeri di file ed utenti.

L’idea, dunque, è lavorare su questa interconnessione per consentire ad un utente “trusted” di entrare di volta in volta in ogni sottorete, collegandosi di volta in volta al peer più vicino (“greedy routing”). Il meccanismo teorico piuttosto complesso è ben descritto nel pdf della presentazione tenuta al DEFCON. Qui, tra le altre cose, si spiega come questa “sottorete di sottoreti” possa essere dinamica e come i “circoli” di trusted friends possano essere costituiti in un ambiente dinamico in un modo simile a quanto avviene con i social network basati su piattaforme come Orkut . In questo modo un numero elevatissimo di utenti potrebbe entrare a farne parte. In un post su Slashdot , Clarke ha spiegato che “questo nuovo design per Freenet è diverso, si tratta di una Darknet globale, scalabile, ad inviti”.

Clarke e Sanderberg cercano ora l’aiuto di sviluppatori ed hacker per dare una stabilità sempre maggiore alla nuova rete ed affinare l’algoritmo di routing che ne è alla base. “In questo momento – spiegano – l’algoritmo non è né user-friendly né sicuro”.

Di interesse notare come queste novità arrivino mentre in Corea del Sud è partita una nuova campagna contro la diffusione sulla rete di file che contengono contenuti protetti e mentre per la prima volta nel Regno Unito cinque utenti P2P vengono effettivamente trascinati in tribunale. Di seguito i dettagli.


Di queste ore, infatti, è la notizia secondo cui Nofree , una società che si occupa della tutela delle proprietà intellettuali di una 60ina di società discografiche locali, ha denunciato la NHN Corporation perché sui propri siti web consentirebbe agli utenti di scambiare grandi quantità di file . Oltre alla net-company sono anche stati denunciati più di 2.700 utenti per sharing illegale di contenuti protetti.

“La nostra denuncia – sostengono gli avvocati di Nofree – non è studiata per ottenere i danni ma per far suonare un campanello d’allarme agli utenti dediti alla condivisione illegale di musica”. “La nostra speranza – hanno spiegato – è che la nostra azione riduca la crescente pirateria e fornisca ai singoli e ai portali un’opportunità per proteggere il diritto d’autore”. I legali fanno anche riferimento alla clamorosa sentenza Grokster della Corte Suprema degli Stati Uniti, che si è espressa contro certi impieghi dei sistemi di sharing, sostenendo che “ha creato un’atmosfera positiva nel nostro paese”.

L’azione di Nofree è un tentativo di dare maggior peso ai jukebox legali che nel paese, come in molti altri, stanno conoscendo una rapida crescita nel numero di utenti pronti a pagare per scaricare un brano o un album via Internet. Secondo la società coreana, ogni anno la pirateria Internet provoca mancati incassi per l’equivalente di circa 320 milioni di euro.

Nel Regno Unito, intanto, sta destando grande attenzione l’iniziativa di cinque utenti di sistemi di scambio che, al contrario di quanto accaduto finora con molti altri loro “colleghi”, hanno deciso di non scendere a patti con i discografici. Per questa ragione la BPI , l’associazione dell’industria di settore, ha deciso di trascinarli in tribunale.

Secondo BPI, i cinque hanno posto in condivisione attraverso i propri computer un totale di quasi 9mila canzoni senza alcuna autorizzazione. Fin qui sono decine gli utenti britannici che, per evitare un processo, hanno pagato quanto richiesto da BPI, mediamente 6.500 sterline a testa.

“Noi – ha spiegato uno dei legali di BPI ? cercheremo di ottenere una ingiunzione a compensazione delle perdite che hanno causato, con in più i considerevoli costi legali a cui siamo andati incontro a causa della loro attività illegale”.

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Pubblicato il
4 ago 2005
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